3 aprile 2015

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A testa alta

22 Maggio 2011

Penso che retrocedere sia una delle esperienze più brutte che si possano provare nell’ambito calcistico e non solo.
La parola retrocessione è sinonimo di incapacità di realizzare un qualsiasi obiettivo che ti sei prefissato. Nel retrocedere non puoi salvare niente di quello che hai fatto durante l’anno perché quello che conta è il risultato finale e quindi, se non ci sei riuscito, ti rimane solo una brutta esperienza che ti resterà appiccicata e indelebile per sempre. Naturalmente questo è il pensiero della maggior parte degli addetti ai lavori e dei tifosi.
Nel 94, a Piacenza, arrivammo all’ultima partita a pari punti con la Reggiana. Noi dovevamo giocare a Parma e loro a Milano contro il Milan. Il Parma, però, doveva disputare la semifinale o la finale, non ricordo bene, di coppa la settimana seguente e quindi ci chiese di anticipare al venerdì la gara. Era un rischio grosso perché se avessimo accettato avremmo dato un grosso vantaggio ai nostri concorrenti per la retrocessione.
Noi stavamo benissimo fisicamente ed ero sicuro che se avessimo disputato lo spareggio lo avremmo vinto, e questo lo sapevano anche loro. Cosa fare? Alla fine decidemmo di concedere l’anticipo perché IL CALCIO, attraverso i media nazionali, aveva lasciato intendere che i risultati delle due gare sarebbero stati uguali e quindi si sarebbe andati allo spareggio, o quantomeno questa fu la nostra interpretazione perché TUTTI lo davano per scontato.
Pareggiammo a Parma e la domenica andai a S.Siro a vedere la partita. A venti minuti dalla fine la Reggiana fece gol e vinse 1 a 0.
Noi retrocedemmo immeritatamente per essere stati sportivamente corretti, la Reggiana no.
Io ero uscito dallo stadio qualche minuto prima e ascoltavo le fasi finali dell’incontro alla radio. Quando Sandro Ciotti disse “la partita è finita, la Reggiana si salva e il Piacenza retrocede” mi crollò il mondo addosso.
Avrei voluto fare dichiarazioni al veleno per il TRADIMENTO SPORTIVO che si era realizzato alle nostre spalle ma, in quel momento, mi arrivò la telefonata del mio Presidente, l’Ing. Garilli, che mi disse di non fare dichiarazioni, che avrebbe mantenuto la stessa squadra inserendo anche Inzaghi di ritorno dal Verona e che saremmo tornati in A.
Quelle parole mi fecero trasformare la rabbia in carica positiva con la convinzione che quello che aveva detto il Presidente si sarebbe realizzato.
Mai pensai che il Milan si fosse “venduto” la partita ma che la Reggiana avesse approfittato della situazione in modo, secondo me, antisportivo, però a volte si pagano le scorrettezze (per dovere di cronaca la squadra emiliana in tre anni passò dalla A alla C1 con tre retrocessioni consecutive e noi tornammo in A subito).
Ho parlato di questo argomento per due motivi. Il primo è che devi accettare sempre il risultato sportivo, comprenderne la realizzazione senza colpevolizzare fattori esterni per giustificare l’insuccesso e quindi usufruirne per crescere.
Il secondo è che piangersi addosso non porta certo a ricuperare gli errori.
Viviamo in un Paese dove gli insuccessi sportivi, specialmente quelli calcistici, sono vissuti come se si trattasse di una questione di vita o morte, quando, invece, bisognerebbe accettarli e vivere lo sport per la sua essenza e insegnamento di vita.
Non sono così sprovveduto per non sapere che sono gli INTERESSI economici a esasperare la situazione, ma è proprio da lì che si deve iniziare il cambiamento.
Non dico che tutti gli introiti devono essere distribuiti in parti eguali ma permettere a tutti di recuperare un risultato sportivo negativo sì.
Premiare i bacini che dimostrano di volere realizzare progetti nell’interesse comune e non solo proprio, porterebbe l’opinione pubblica e quindi i tifosi ad avere una cultura diversa da quella del RISULTATO fine a se stesso.

Gigi Cagni


Alla mostra del Piace

29 aprile 2011