14 novembre 2014

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3 novembre 2014

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Ecco il link del giornale da cui è stato estratto l’articolo: http://digital.nesoccerjournal.com/nxtbooks/seamans/nesoccerj_201411/#/32


La Gazzetta dello Sport – 27 agosto 2014

27 agosto 2014

gazzetta dello sport


SERIETÀ E MERITO

25 giugno 2014

prandelli
Finalmente qualcuno che ha il coraggio di fare azioni responsabili.
Certamente sia Prandelli che Abete non hanno tutte le responsabilità di questo risultato negativo ma, con le dimissioni hanno senz’altro dimostrato coerenza e professionalità.
Ora, speriamo, che l’analisi di tutto il nostro mondo calcistico non si soffermi sulle colpe dell’arbitro o sul morso di Suarez e nemmeno su quelle tecnico-tattiche.
Basta dare i “numeri”, perché alla fine contano più le persone degli schemi. Basta sopportare professionisti che nella settimana di lavoro non conoscono riposi notturni.
Il Campionato del Mondo non si prepara nei 15 giorni prima dell’inizio ma nei mesi antecedenti l’evento.
La maglia si deve rispettare tutti i giorni dell’anno con comportamenti consoni alla professione.
Dobbiamo tornare a fare rispettare le regole e i ruoli.
La debacle Mondiale non è solo responsabilità di chi è andato in Brasile ma di tutto il nostro sistema che non ha più valori, un sistema che non programma niente e che pensa soltanto al risultato immediato.
Dobbiamo cogliere questa occasione per riuscire a fare tornare un calcio meno di immagine e più di sostanza.
E’ andata così, può succedere.
Ora non resta che rimboccarsi le maniche, senza processi inutili e capire che tutti noi abbiamo le possibilità e le qualità per tornare fra i primi al mondo.
Non è difficile, è sufficiente fare il contrario di quello che abbiamo fatto fino ad ora.
Sembra una battuta ma non lo è.
Personalmente l’ho usata tante volte nella mia vita, quantomeno per ripartire, e poi ho utilizzato le cose buone del passato per ricostruire un futuro più solido.
Non vado oltre perché non voglio essere noioso, sempre con la solita retorica del passato, dei valori, del fatto che una volta fosse meglio di oggi.
Non ci penso nemmeno, perché certamente oggi sarà preferibile per molti aspetti però, qualche cosa bisogna riprendere visto i risultati.
Per esempio mi sta accadendo un fatto che mi rende professionalmente felice.
Sto cercando di andare a fare un’esperienza all’estero e al mio Agente chiedono il curriculum, non gli basta la conoscenza di chi mi presenta o la sponsorizzazione da parte di amici.
Quindi se mi assumeranno sarà solo perché saranno convinti delle mie capacità. Questo mi piace.

Gigi Cagni


Copiare non paga

10 aprile 2014

simeone

E adesso?!!!!!

Atletico Madrid in semifinale di Champions senza possesso palla con aggressività e contropiede, lanci lunghi e ripartenze con schemi precisi e proficui.

Moda Barcellona finita?

Da oggi presidenti alla ricerca di allenatori pratici che guardano più alla sostanza che alla forma?

Giornalisti che si stupiscono delle prestazioni non all’altezza del Barcellona attuale cercando di capirne le motivazioni.

Responsabile del mercato dell’Atletico è Andrea Berta mio carissimo amico e collaboratore quando ero a Parma.

A giugno sono andato a Madrid a trovarlo e ho visto i primi allenamenti in loco prima della partenza per il ritiro e ho parlato con Simeone.

A novembre, dopo le prime partite sia di campionato che di Coppe ho detto ad Andrea, che naturalmente si è toccato…, “secondo me visti gli allenamenti, il tasso tecnico dei singoli, visto il modo di interpretare le gare da parte dell’allenatore, visti Real e Barcellona, vedrai che potrai essere la sorpresa.”

Il tutto derivava da una sensazione istintiva di avere visto un gruppo fra giocatori, staff tecnico e organizzazione societaria, che mi faceva pensare a qualche cosa di compatto e granitico (vi ricordate quando scrissi di un mio vecchio allenatore che diceva” fa più male uno schiaffo o un pugno? Ecco una squadra deve sempre essere come un pugno”).

Sembra sia stata una deduzione affettiva e, ripeto, istintiva per l’amicizia con il direttore, ma non è stato così.

Per una parte dei miei ragionamenti faccio correre libera la mia pulsione dettata dall’esperienza, ma poi razionalizzo e metto insieme le cose.

Da lì parte la mia valutazione fredda e logica ed è il motivo per cui ho fatto quell’affermazione al Direttore.

Tutto questo mi ha dato lo spunto per fare un ragionamento che da anni cerco di portare avanti e, chi mi segue sul blog, sa a cosa intendo.

E’ mai possibile che tutti sono venuti da noi a imparare e poi se ne sono andati a seminare dove è possibile farlo e noi, ora, copiamo e ci lasciamo trasportare dalle mode?

E’ mai possibile che non si capisca che la squadra migliore, e l’allenatore più bravo, sono quelli che giocano nel modo più congeniale alle loro caratteristiche?

Oggi in Italia il calcio è un ibrido che non ha ne capo ne coda e quando c’è confusione il fine non può essere che confuso.

Non snaturiamoci, la nostra cultura, visti i fatti, non cambierà mai.

Va bene aggiornarsi e imparare ma “copiare” non porta a nessun risultato.

Gigi Cagni


Che lo spettacolo abbia inizio

11 marzo 2014

stadio inglese

Gazzetta del 9 marzo ”Il calcio italiano non è più competitivo eppure spende troppo e non ha idee”, soluzione : tetto alle rose, torneo a 18 squadre e nuovi ricavi.
Che noi si debba cambiare le strutture e il modo di creare business con riforme di sistema, è indubbio.
Ma se si pensa di risolvere tutto in questo modo non credo andremo molto lontano.
Mi soffermerei sul termine “idee”, aggiungendo, miglioramento della cultura calcistica e di avvicinamento ad una mentalità europea di “spettacolo”.
Forse non si è capito che in tutti i paesi europei il “risultato” non è al primo posto nella mentalità sportiva.
Il primo pensiero, per loro, è fare stare comodi gli spettatori e farli divertire con un calcio offensivo e non necessariamente legato al risultato.
Il secondo è usare i media per informare e non per creare polemiche.
Detto questo, secondo me, è inutile fare nuove regole e cambiamenti strutturali se non si cambia la cultura (calcistica naturalmente) e il modo di informare.
Sono stufo di sentire in qualsiasi trasmissione di qualsiasi tipo, dire che viene mandato in onda quello che la gente vuole e che se non ci fossero polemiche o scandali non la guarderebbe nessuno.
Non siamo così retrogradi e ignoranti, anzi.
Perché non iniziare a fare il contrario.
Non so quanti siano gli italiani che guardano le trasmissioni sportive ma, sicuramente, se ci fossero più approfondimenti tecnici con immagini e meno moviole con estenuanti dibattiti polemici, gli spettatori aumenterebbero.
Farei anche trasmissioni con arbitri che spiegano il regolamento visto che, alle volte, anche gli addetti ai lavori non lo conoscono.
Farei vedere come le due tifoserie all’estero: entrano, si siedono, fruiscono della partita, escono e se ne tornano a casa.
Cercherei di fare diventare il calcio un argomento di crescita culturale e civile per renderlo accessibile a tutti, soprattutto i giovani.
Non vorrei più sentire gente che dice: ”basta non porto più mio figlio allo stadio perché ho paura”.
Quindi ribadisco il concetto che mi premeva dire.
Non è che se fai la serie A a 18 squadre o riformi il sistema riesci a rimediare il gap con il resto dell’Europa.
Quello che serve a noi è che tutti si muovano per far avere al “vero tifoso calcistico italiano” il luogo più adatto per godersi uno spettacolo emozionante ma, al tempo stesso, privo di pericoli e stress inutili.

Gigi Cagni


l’allenatore moderno

25 settembre 2013

Italy trainingLo spunto me lo ha dato la Gazzetta dello Sport del 24/9 in cui, a pag.6 – dove si parla delle Sorelle Scudetto -c’è una riga del sottotitolo che dice: “..E gli allenatori tornano a fare la differenza”.
Io aggiungo: Gli allenatori faranno sempre di più la differenza.
Ma perché questo accada bisogna che gli Allenatori abbiano la possibilità di poter lavorare, per dimostrare le proprie capacità, in un ambiente che gli permetta di metterle in evidenza.
Questo non può accadere se le squadre le fanno i Presidenti con 30 giocatori buttati lì senza un progetto e una logica tecnico-tattica, pensando già che, se dovesse andare male, si cambia allenatore.
C’è stato un cambiamento epocale, senza che nessuno se ne accorgesse, quando si è allungato il mercato rendendolo quasi permanente, la cui diretta conseguenza è stata il dover accettare i ricatti dei giocatori sui prolungamenti dei contratti.
Nessuno ha pensato che se le società non fossero state forti nel difendere il proprio allenatore, questo avrebbe avuto grossi problemi nella gestione dello spogliatoio.
Spogliatoio sempre più difficile da gestire nel momento in cui verranno a mancare i “vecchi leaders”, gli esempi da seguire (e quel tempo non è lontano).
Inevitabilmente il leader diventerà l’allenatore a cui spetterà, non soltanto la gestione tecnico-tattica, ma anche quella di collegamento e di unione delle personalità dello spogliatoio, compresa la comunicazione esterna.
Quindi, e qui mi rivolgo ai miei colleghi giovani, non abbiate fretta di arrivare alle categorie alte.
Non pensiate che, perché avete fatto i calciatori , sia tutto semplice quando si passa dall’altra parte.
Cercate esperienze di difficoltà graduali, bruciarsi è facile in un ambiente con pressioni così alte come quelle del calcio italiano.
Ripeto il concetto: cari Presidenti “la figura dell’allenatore deve essere rivalutata” e non può esserlo se alla fine dei campionati se ne cambiano più di 45, ciò va a discapito dello spettacolo.
Mai, come questo inizio di campionato, si sono viste partite così brutte sotto il profilo tecnico poiché si nota già, da parte degli allenatori, la ricerca del risultato a tutti i costi con il minimo rischio.
Il caso Giampaolo dimostra quanto sia difficile reggere a degli stress che non hanno niente a che fare con il campo, anche se il suo comportamento non è certamente da prendere da esempio perché, comunque, devi avere rispetto per chi ti ha ingaggiato.

Gigi Cagni


Ringraziamenti e ……chiarimenti

17 giugno 2012

Inizio ringraziando e scusandomi con chi mi ha scritto in questo ultimo mese in cui, per ovvi motivi, non ho potuto esaudire le loro richieste.

Ringrazio anche quelli che mi hanno criticato con educazione perché tutto serve per crescere, solo dibattendo diverse opinioni si riesce ad avere un quadro più ampio degli argomenti.

Dovete anche capire però che sarebbe scorretto se oggi, nell’analisi personale della mia esperienza, nominassi persone che non possono controbattere sul blog.

Quindi mi limiterò a esprimere le mie impressioni e le mie valutazioni cercando di non entrare nello specifico di avvenimenti in cui dovrei parlare di altri e non del mio lavoro fatto con i giocatori.

Alla fine ognuno di voi trarrà le proprie conclusioni e giudicherà più o meno soddisfacente la mia analisi.

A ottobre sono stato contattato per vedere se c’era la mia disponibilità a prendere il Vicenza che aveva disputato 8 partite facendo 3 punti soltanto.

Ho incontrato i rappresentanti del Vicenza, compreso il Presidente Cassingena, e immediatamente ho accettato l’incarico senza discutere sull’ingaggio (il mio standard d’ingaggio era molto alto) perché ero convinto di potere lavorare bene con questi giocatori e salvarmi, anche con delle difficoltà, ma salvarmi.

L’unica cosa che avevo chiesto era carta bianca nella gestione della squadra, non volevo interferenze riguardo all’aspetto tecnico-tattico e fisico del gruppo.

Il Presidente mi aveva scelto per la mia esperienza e professionalità oltre a un curriculum di buoni risultati.

Ho fatto in fretta a contagiare i giocatori con la mia passione e conoscenza dei diversi modi di stare in campo.

Sapevo di avere un gruppo di buone qualità tecniche non, però, conoscendone i valori di professionalità e personalità.

Tutto è filato liscio per 3 mesi e mi riferisco sia al mio modo di allenare tecnico-tattico che fisico.

17 anni di preparazioni fatte fare e 19 fatte da giocatore un po’ di esperienza me l’avevano data.

La cosa più difficile all’inizio è toccare i tasti giusti per fare rendere immediatamente i giocatori perché l’aspetto psicologico quando hai perso molto nelle gare precedenti è fondamentale.

In quel senso ho cercato di istruire tutti i collaboratori che erano a Isola Vicentina perché tutti dovevano seguire il mio modo di gestire psicologicamente i giocatori essendo l’unico responsabile e anche referente del risultato finale.

Oggi più che mai i giocatori devono avere un referente solo e deve essere l’allenatore.

Ci sono così tante componenti attorno all’ambiente che se non hai la forza di imporre la tua linea e non sei l’unico che la fa rispettare, difficilmente riesci a gestire un gruppo così variegato di persone.

La domanda più ricorrente è cosa è successo a Gennaio. Niente di particolare se non che c’è stato un calo psico-fisico dovuto a tanti fattori ma il più importante, secondo me guardando la storia della squadra negli ultimi tre anni, è che questo gruppo di giocatori quando raggiunge un risultato soddisfacente non ha la cattiveria necessaria per raggiungerne un altro più avanti.

Entrare nelle loro teste non è facile specialmente se I MESSAGGI non sono uguali.

La cattiveria agonistica, le motivazioni e la conoscenza di quello che serve per vincere e avere traguardi importanti non riesci a costruirla da solo e in breve tempo.

La cosa più difficile è uscire dalle difficoltà trovando le soluzioni giuste e condivise con chi ha le responsabilità, i giocatori devono fare i giocatori e basta, non devono avere altre responsabilità.

Quando vengono le difficoltà e tutto ti sembra crolli e ti prende lo sconforto, l’ambiente ti critica e si cominciano a sentire spifferi di ogni tipo, l’unica cosa da fare è chiudere la finestra, confrontarsi e trovare la soluzione.

Se poi si ritiene giusto cambiare l’allenatore deve essere fatto prendendosene la responsabilità e, soprattutto, essendone convinti.

Quando sono tornato le difficoltà erano superiori ed è il motivo per cui ho fatto delle scelte impopolari.

L’unico responsabile dovevo essere io proprio per i motivi che ho sopra elencato.

Ho cercato di comprendere il più presto possibile quelle che potevano essere le prime cose da fare in una situazione più difficile di quella di ottobre in riferimento ai punti fatti nelle 8 gare (soprattutto i 2 punti nelle 5 partite in casa), alla classifica e alle poche gare che dovevo disputare.

Ho così deciso di ACCOLLARMI la sconfitta di Pescara per stare con loro e anticipare il mio lavoro di ricostruzione per arrivare, almeno, ai play-out.

Adesso posso precisare il mio sfogo con Ferretto a Pescara.

L’avevo preparato perché così avrei distolto tutta l’attenzione sulla sconfitta pesante.

Difatti per tre giorni si è parlato solo di quello senza dare risalto alla sconfitta e lasciandomi preparare al meglio la prima delle 4 partite decisive (pensate se non avessimo vinto con il Modena, saremmo retrocessi già dopo la gara).

Con calma e scavalcando ogni ostacolo senza fare polemica con chi avrebbe voluto farla, siamo arrivati a disputare il play-out con 20 giocatori soltanto fra cui due giovani inesperti come Capitanio e Mbida.

Ciononostante ero convinto che ci saremmo salvati.

Potete criticarmi su tutto ma non come ho preparato i 180’ avendo la conoscenza sia dell’organico che della condizione psico-fisica.

La partita di Empoli ha espresso tutto il campionato.

Secondo me anche il play-off del Varese ha detto che il mio esonero è stato affrettato.

Se non si comprende che certe gare vanno viste non soltanto per quello di sbagliato che fai tu ma anche per la forza dell’avversario, vuol dire che hai una visione distorta della realtà.

Non credo che mi passerà mai la delusione della sconfitta con retrocessione di Empoli ma, professionalmente e razionalmente, ho dovuto accettare che molti giocatori non erano all’altezza di disputare gare di grande intensità per mancanza di caratteristiche fisiche e mentali.

Il sistema calcio in Italia ha preso una strada che non può essere quella giusta se nel campionato scorso sono stati cambiati più di 40 allenatori fra A e B.

Spero di essere stato esaustivo nell’analisi della mia avventura di Vicenza.

Siccome i benpensanti diranno “ma lui che responsabilità ha avuto che ha parlato solo di altri, possibile che non abbia sbagliato niente?”.

Tranquilli che io sono abituato a essere obiettivo con me stesso e di errori ne ho fatti senz’altro e spero di avere l’opportunità, in altre occasioni, di non ripeterli, però è anche vero che non posso non pensare che ho fatto 33 punti in 24 partite e se ci penso mi inc……di piu.

 Gigi Cagni


Alla mostra del Piace

29 aprile 2011


Reja – Del Neri : omaggio all’esperienza

2 novembre 2010

Anche se sta piovendo e il mare è in burrasca da tre giorni, dopo avere letto l’ articolo di LUIGI GARLANDO sulla Gazzetta dello Sport in cui si parla di Reja e Del Neri, mi sento orgogliosamente coetaneo di allenatori che stanno dimostrando quanto sia semplice il calcio,e non pieno di strane alchimie.
Finalmente qualcuno che ha capito l’importanza, nel calcio moderno, di allenatori di esperienza. Il punto sta nella parola “MODERNO”.
I presidenti associano la parola a GIOVANI. Cioè pensano che per fare il calcio moderno è necessario avere allenatori giovani, perché quelli che lo sono meno – giovani naturalmente -,non sanno interpretarne l’attualità. Premettendo che, tutti gli allenatori giovani italiani sono molto bravi nella conoscenza dei sistemi di gioco, non lo possono essere altrettanto nella loro interpretazione. La ragione è semplicissima e di facile intuizione. Mi ricordo spesso cosa mi disse – ero ancora giocatore negli anni 80 – Biagio Govoni vecchio direttore sportivo a S.Benedetto, intuendo che avrei fatto l’allenatore: ”Non avere fretta, fai il settore giovanile per iniziare, non volere subito i grandi club, imparerai cose che poi ti serviranno molto e ti permetteranno di sbagliare meno”.
Aveva perfettamente ragione, quello che ho imparato nella primavera del Brescia e poi a Cento in C2, mi hanno permesso di andare a Piacenza e vincere il campionato di C1 e poi tutto il resto. In quei primi anni ho sperimentato tutto quello che poi sarebbe diventato un bagaglio determinante per tutta la mia carriera.
Dalla preparazione fisica (nei primi due anni da professionista l’ho fatta io, poi ho avuto la collaborazione del prof.Ambrosio) alla tattica e alla gestione del gruppo, forse la più difficile oggi da fare. Nella mia carriera di giocatore ho disputato 600 gare ufficiali, da allenatore circa 700, non una uguale all’altra,magari simili ma uguali mai. Lo dimostra il fatto che tante volte ho fatto le STESSE mosse tattiche in gare diverse, ma l’esito è stato completamente diverso.
Il calcio ha così tante varianti nel suo svolgersi che non c’è nessuno che può dire di conoscerlo. Se qualcuno vi dice che capisce di calcio mandatelo da me che gli dimostro subito quanto non sia vero.
Eppure è semplice ed è alla portata di tutti, soprattutto oggi con i mezzi di comunicazione a disposizione. Ma è proprio questo il punto, la grande esposizione mediatica ha fatto si che LO SI FACESSE DIVENTARE UNA SCIENZA e che i NON-SCIENZIATI non fossero in grado di farlo interpretare. Quando, invece, il segreto sta proprio nella sua SEMPLICITA’.
Nella partita ci sono due cose da conoscere fondamentali tattiche e cioè: LA FASE DIFENSIVA E QUELLA OFFENSIVA.
Poi, siccome il calcio moderno, aimè, è più fisico che tecnico, ci vuole una grande condizione psico-fisica. E, infine, siccome tutti siamo esposti ai riflettori dei mezzi di informazione, devi essere preparato a sopportare tutti i pregi e i difetti di questa condizione.
Le pressioni e l’esposizione mediatica sono le più difficili da gestire. Il tutto non si impara in breve tempo e con poche partite. Puoi avere disputato 1000 gare da giocatore ma quando passi dall’altra parte è tutto un mondo diverso, soprattutto perché sei SOLO nelle decisioni e da SOLO ne devi sopportare gli insuccessi quando, invece, i successi sono condivisi.
Detto questo, non ho voluto scrivere questo articolo per tirare l’acqua al mio mulino, ma solo per rendere omaggio a due allenatori di una certa età che stanno dimostrando il loro valore in questo calcio MODERNO E STRESSATO.Gigi Cagni

L'articolo della Gazzetta a cui si riferisce il Mister

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