Che lo spettacolo abbia inizio

11 marzo 2014

stadio inglese

Gazzetta del 9 marzo ”Il calcio italiano non è più competitivo eppure spende troppo e non ha idee”, soluzione : tetto alle rose, torneo a 18 squadre e nuovi ricavi.
Che noi si debba cambiare le strutture e il modo di creare business con riforme di sistema, è indubbio.
Ma se si pensa di risolvere tutto in questo modo non credo andremo molto lontano.
Mi soffermerei sul termine “idee”, aggiungendo, miglioramento della cultura calcistica e di avvicinamento ad una mentalità europea di “spettacolo”.
Forse non si è capito che in tutti i paesi europei il “risultato” non è al primo posto nella mentalità sportiva.
Il primo pensiero, per loro, è fare stare comodi gli spettatori e farli divertire con un calcio offensivo e non necessariamente legato al risultato.
Il secondo è usare i media per informare e non per creare polemiche.
Detto questo, secondo me, è inutile fare nuove regole e cambiamenti strutturali se non si cambia la cultura (calcistica naturalmente) e il modo di informare.
Sono stufo di sentire in qualsiasi trasmissione di qualsiasi tipo, dire che viene mandato in onda quello che la gente vuole e che se non ci fossero polemiche o scandali non la guarderebbe nessuno.
Non siamo così retrogradi e ignoranti, anzi.
Perché non iniziare a fare il contrario.
Non so quanti siano gli italiani che guardano le trasmissioni sportive ma, sicuramente, se ci fossero più approfondimenti tecnici con immagini e meno moviole con estenuanti dibattiti polemici, gli spettatori aumenterebbero.
Farei anche trasmissioni con arbitri che spiegano il regolamento visto che, alle volte, anche gli addetti ai lavori non lo conoscono.
Farei vedere come le due tifoserie all’estero: entrano, si siedono, fruiscono della partita, escono e se ne tornano a casa.
Cercherei di fare diventare il calcio un argomento di crescita culturale e civile per renderlo accessibile a tutti, soprattutto i giovani.
Non vorrei più sentire gente che dice: ”basta non porto più mio figlio allo stadio perché ho paura”.
Quindi ribadisco il concetto che mi premeva dire.
Non è che se fai la serie A a 18 squadre o riformi il sistema riesci a rimediare il gap con il resto dell’Europa.
Quello che serve a noi è che tutti si muovano per far avere al “vero tifoso calcistico italiano” il luogo più adatto per godersi uno spettacolo emozionante ma, al tempo stesso, privo di pericoli e stress inutili.

Gigi Cagni


l’allenatore moderno

25 settembre 2013

Italy trainingLo spunto me lo ha dato la Gazzetta dello Sport del 24/9 in cui, a pag.6 – dove si parla delle Sorelle Scudetto -c’è una riga del sottotitolo che dice: “..E gli allenatori tornano a fare la differenza”.
Io aggiungo: Gli allenatori faranno sempre di più la differenza.
Ma perché questo accada bisogna che gli Allenatori abbiano la possibilità di poter lavorare, per dimostrare le proprie capacità, in un ambiente che gli permetta di metterle in evidenza.
Questo non può accadere se le squadre le fanno i Presidenti con 30 giocatori buttati lì senza un progetto e una logica tecnico-tattica, pensando già che, se dovesse andare male, si cambia allenatore.
C’è stato un cambiamento epocale, senza che nessuno se ne accorgesse, quando si è allungato il mercato rendendolo quasi permanente, la cui diretta conseguenza è stata il dover accettare i ricatti dei giocatori sui prolungamenti dei contratti.
Nessuno ha pensato che se le società non fossero state forti nel difendere il proprio allenatore, questo avrebbe avuto grossi problemi nella gestione dello spogliatoio.
Spogliatoio sempre più difficile da gestire nel momento in cui verranno a mancare i “vecchi leaders”, gli esempi da seguire (e quel tempo non è lontano).
Inevitabilmente il leader diventerà l’allenatore a cui spetterà, non soltanto la gestione tecnico-tattica, ma anche quella di collegamento e di unione delle personalità dello spogliatoio, compresa la comunicazione esterna.
Quindi, e qui mi rivolgo ai miei colleghi giovani, non abbiate fretta di arrivare alle categorie alte.
Non pensiate che, perché avete fatto i calciatori , sia tutto semplice quando si passa dall’altra parte.
Cercate esperienze di difficoltà graduali, bruciarsi è facile in un ambiente con pressioni così alte come quelle del calcio italiano.
Ripeto il concetto: cari Presidenti “la figura dell’allenatore deve essere rivalutata” e non può esserlo se alla fine dei campionati se ne cambiano più di 45, ciò va a discapito dello spettacolo.
Mai, come questo inizio di campionato, si sono viste partite così brutte sotto il profilo tecnico poiché si nota già, da parte degli allenatori, la ricerca del risultato a tutti i costi con il minimo rischio.
Il caso Giampaolo dimostra quanto sia difficile reggere a degli stress che non hanno niente a che fare con il campo, anche se il suo comportamento non è certamente da prendere da esempio perché, comunque, devi avere rispetto per chi ti ha ingaggiato.

Gigi Cagni


UN PUNTO D’EQUILIBRIO

2 febbraio 2013

Ho iniziato a fare il professionista nel 1968. Ho esordito in serie A nel 1970 a Cagliari, che quell’anno vinse lo scudetto. Io e gli altri tre giovani convocati ci siamo cambiati solo dopo aver scaricato tutte le valige.
Il rispetto per il giocatore “anziano” arrivava non soltanto dall’educazione dataci nel settore giovanile ma dal sistema socio-culturale di quelle generazioni a cui veniva insegnata l’importanza del valore dell’esperienza di cui erano “depositarie” le persone mature.
Il cartellino era delle società che disponeva di te senza che tu potessi avere voce in capitolo.
A 28 anni mi hanno venduto alla Sambenedettese e il Presidente, visto la mia reticenza al trasferimento, mi disse che se non fossi andato mi avrebbe fatto smettere di giocare.
Quindi andai e fu la mia fortuna, perché ho giocato in B fino a 37 anni.
Per questo ho vissuto tre generazioni di calcio: la precedente alla mia, la mia e quella pre-attuale, molto vicina all’attuale, quando poi ho iniziato a fare l’allenatore. Tutto questo per dire che, essendo stato integralista, condivido quello che ha detto Zeman sulle regole e i comportamenti che si dovrebbero avere ma non condivido i metodi per ottenerli (guarda caso gli si è rivoltato tutto contro).Zdenek Zeman
Non c’è niente da fare, quelli come noi si devono adeguare ai tempi.
Non sto a dire se giusto o sbagliato ma sta di fatto che il sistema oggi è questo e Zeman non lo ha capito.
Funziona solo se fai i risultati.
Dopo la legge Bosman è cambiato tutto e il non averlo compreso è sicuramente un errore.
L’anno scorso ha avuto successo perché la società gli ha dato carta bianca e un gruppo di giovani di grande talento che lui è riuscito a fare esprimere al meglio, senza interferenze di nessun tipo, e senza l’obbligo di vincere.
Per allenare la grande squadra, oggi, la qualità maggiore che devi avere è quella della gestione di campioni che hanno una personalità e una forza contrattuale diversa da quella che può avere un giovane.
Senza farsi travolgere da tutte le componenti che premono sulla gestione, devi essere capace di fare rendere al meglio il gruppo con una democrazia-dittatoriale.
Non è una contraddizione, è l’unico metodo possibile per gestire giocatori che sanno di essere l’unico valore economico di una società di calcio.
Se il rapporto di valore, per la società, fra te e il giocatore è di milioni di euro a vantaggio del giocatore, in situazioni di difficoltà chi ha le conseguenze peggiori?
La cosa avvilente che sta accadendo (secondo me totalmente sbagliata) è che i Presidenti, e i media, danno una percentuale bassa di importanza agli allenatori.
Sono convinti che l’allenatore conti poco e che, quindi, nella scelta non devono perderci troppo tempo.
Questa è una grossa contraddizione, è come se nelle loro aziende, al manager di riferimento dessero una importanza relativa.
Purtroppo il calcio è diventata un’azienda atipica e, guarda caso, non è che stiamo attraversando un grande periodo.
Sarebbe il caso di fermarsi a riflettere.
Non si può essere in balìa di persone che hanno come obiettivo primario i propri interessi.
Bisogna adoperarsi affinché la bilancia trovi il centro d’equilibrio.
Gigi Cagni


A e B: prime impressioni

21 ottobre 2012

Come ho sempre detto, e chiesto, alle società che mi hanno ingaggiato, si devono aspettare almeno 8-10 gare per giudicare sia, la probabile evoluzione del campionato  che quella di una singola squadra.

Fortunatamente io non sono né un presidente e nemmeno faccio parte di quei media che in poche settimane riescono a capire che tutto andrà a rotoli e che si deve cambiare.

Non so nemmeno perché nel periodo estivo sono tutti a sottolineare il fatto che il nostro campionato è il più difficile, ma lo è altrettanto la costruzione di una squadra che necessita di tempo per trovare gli equilibri giusti, che bisogna fare giocare i giovani, che il mercato fino a fine agosto porta degli scompensi proprio nella gestione tecnico-tattica e che qualsiasi programmazione ha bisogno di TEMPO.

Tutto, poi, viene dimenticato in funzione del risultato.

Perciò solo oggi riesco a dare un primo giudizio, naturalmente personale, su quello che ho visto in questi mesi.

Partiamo dall’aspetto tattico.

Sia in A che in B, nella maggior parte delle squadre, vengono usati  il 3-5-2 o il 4-3-3 (o 4-3-1-2).

Mi sono chiesto il perché.

Escludendo, fortunatamente, che sia per moda penso derivi dal fatto che non c’è molta qualità sia a livello di personalità che specifica del ruolo nei moderni difensori.

Sono molto più bravi nella costruzione del gioco ma estremamente carenti nella specificità dell’essere per prima cosa difensori.

In spazi ampi hanno difficoltà sia nella posizione di reparto ma, soprattutto, nel sapere marcare l’uomo in tutte le situazioni degli ultimi 25m.

I miei colleghi più esperti hanno optato per questi moduli che permettono di restringere gli spazi e fare sentire più sicuri i tre difensori per svolgere al meglio il loro ruolo.

Perché ho detto i più esperti? Perché molti dei giovani fanno rimanere a tre dietro in tutte e due le fasi prediligendo esterni più offensivi e c.c. di qualità tecniche più propense alla fase offensiva che difensiva.

Sperando che gli diano il tempo di capire che ci vogliono equilibri in tutte e due le fasi, sono convinto che, intelligentemente, capiranno la necessità di cambiare convinzioni e apportare le giuste correzioni altrimenti, secondo il mio modesto giudizio, non avranno i successi sperati.

Spero sempre di avere torto quando parlo di certi argomenti ma, l’esperienza di 40 anni del nostro calcio, mi fa optare per questo tipo di previsione.

Tutto potrà essere capovolto nel momento in cui tutti saremo d’accordo sul fatto che il risultato non debba essere la cosa principale da giudicare.

Per quanto riguarda l’aspetto fisico ho più difficoltà.

In A, per motivi economici e di calendari, quasi tutte le squadre giocano gare amichevoli in fretta e quindi non possono costruire molto i sistemi energetici basilari.

Tutto questo porterà ad avere più facilità di infortuni (poi su questo argomento scriverò qualche cosa riguardo a quello che DOVREBBERO fare i calciatori per diminuire tale rischio) e cali di forma durante la stagione.

E’il motivo per cui, giustamente, gli allenatori di squadre con obiettivi importanti chiedono organici ampi e, soprattutto, l’aiuto sulla gestione da parte delle società.

Chi riesce a fare questo vince, o ci va molto vicino.

Quindi a oggi non riesco a valutare questo aspetto perché ha troppe varianti e ogni allenatore ha sicuramente fatto scelte diverse che potranno essere valutate meglio, secondo me, nel girone di ritorno.

In B, invece, ho visto squadre che hanno già sviluppato grandissime intensità e altre meno.

In questo caso io penso che, per i motivi indicati all’inizio, ci siano tecnici che hanno lavorato un po’ meno per partire più veloci, col rischio di pagare poi in termini di prestazioni magari nel girone di ritorno.

Altri invece, più sereni nel proprio ambiente, hanno optato per una preparazione più PESANTE rischiando la partenza diesel ma che, in teoria, porterebbe a non avere grossi cali in un campionato così lungo.

Queste sono state le mie prime impressioni generali nella valutazione dell’inizio dei nostri principali campionati.

Durante lo svolgimento vedremo lo sviluppo degli argomenti che saranno più interessanti da trattare.

Gigi Cagni


Riflessioni su calcio e società

22 gennaio 2010

Sono veramente deluso da tutto questo continuo discutere di come gestire il famigerato RAZZISMO negli stadi con delle soluzioni che, come al solito, vanno a discapito della maggior parte delle persone che amano il calcio.
Guarda caso le suddette persone entrano allo stadio, magari con la famiglia, si godono la partita, magari in stadi fatiscenti, ma comunque tifano e soffrono per la loro squadra in modo educato e civile, e alla fine si trovano penalizzati e costretti a dovervi rinunciare per colpa di pochi, sempre gli stessi , oltretutto conosciuti.
E’ mai possibile che nel nostro paese si conosca solo, nei casi di difficoltà, la repressione, senza avere la voglia e la pazienza di analizzare a fondo il problema e PROGRAMMARE una volta per tutte la soluzione definitiva con i mezzi idonei per farlo?
Siamo un paese di grande storia e cultura ma abbiamo un difetto, siamo MALEDUCATI.
A questa generazione non è stata insegnata l’educazione, il rispetto sia della proprietà altrui che della persona. I responsabili principali sono senza dubbio la famiglia e la scuola. Perché lo stadio è diventato un porto franco? Perché si permette di andare a viso coperto e a bruciare o sfasciare i seggiolini senza essere puniti ? Chi ha questi comportamenti non meriterebbe nemmeno di stare in una società civile.
Per realizzare una cosa che in altri paesi è normale, ci dobbiamo impegnare tutti a ristabilire un equilibrio che consenta ai veri sportivi di poter godere dello spettacolo calcistico senza paure.
Non si può prescindere, naturalmente, dall’avere strutture consone per la realizzazione di questo scopo, la costruzione di stadi adatti è di assoluta necessità. E’ chiaro che le componenti principali di questo sport non possono sottrarsi alle loro responsabilità iniziando proprio da noi allenatori.
Non è un mio vezzo il piacere di essere chiamato MAESTRO piuttosto che MISTER, il termine la dice tutta di cosa intendo. Già dai settori giovanili, oltre che alla tecnica e alla tattica, dovremmo EDUCARE i giocatori, con l’aiuto dei procuratori (che dovrebbero essere dei TUTOR per loro), al rispetto per gli spettatori che pagano, per le società che li ingaggiano ma, soprattutto, ad essere da esempio per tutti i ragazzi che li vedono come idoli da imitare.
Oggi, tutto è più veloce, compreso l’esordio che li porta al successo senza una preparazione psicologica adeguata, con le conseguenze che poi vediamo e cioè, di comportamenti non consoni al messaggio che dovrebbero trasmettere.
Chi gliele ha mai dette queste cose? Sono investiti dalla notorietà e nessuno gli ha insegnato come affrontarla e gestirla. Lo stesso vale per i dirigenti e i media, il loro messaggio è determinante, essere pacati e consapevoli dell’importanza dell’impatto che hanno sull’opinione pubblica è determinante.
Detto questo, sono ancora più convinto che il RAZZISMO non c’ entri proprio nulla con le intolleranze e gli atti sconsiderati che avvengono negli stadi.
Se non EDUCHIAMO le persone al rispetto delle regole e al rispetto reciproco non ha nessun senso interrompere le partite per pochi individui che fanno dei versi disumani, assolutamente deprecabili, ma che, a mio parere, non hanno più peso di tutte le altre manifestazioni incivili che avvengono ogni giornata in cui ci sono eventi calcistici.

Gigi Cagni