Cogli l’attimo

1 dicembre 2011

Capire il motivo per cui vieni esonerato è sempre difficile. Per quanto mi riguarda, oggettivamente, solo una volta è stato giustificato e mi riferisco all’anno 97-98 a Verona con presidente Pastorello. A Parma nel 2008 con un contratto biennale e dopo sole sei gare, ho ancora più difficoltà a comprenderne le ragioni. Se poi il Presidente Ghirardi lo fa per telefono dicendoti che sei un bravo allenatore e una brava persona e che lui ha troppe pressioni, la cosa diventa ancora più incomprensibile. Stai fermo 2 anni in cui vai molto vicino a essere scelto da molte squadre che poi, però, fanno una scelta diversa a favore di colleghi con curriculum meno prestigiosi, la risposta alla domanda diventa ulteriormente incomprensibile. Ma in questo lungo periodo di inattività ho cercato, comunque, di essere pronto a un’eventuale chiamata per non trovarmi impreparato per chi avesse ancora fiducia in un “VECCHIO” allenatore. Più avanti spiegherò il motivo di questa sottolineatura. Faccio una premessa e mi rivolgo ai miei assidui lettori. Vi ricordate quando vi ho detto che la fortuna capita a tutti ma bisogna essere pronti a coglierla? Eccovi la dimostrazione. La sera del 5 ottobre ero a Mediaste Premium a fare il commentatore, altra bella esperienza, della B serale. Finita la trasmissione alle 23 e 45 ho accompagnato il conduttore a casa: determinanti quei 10’persi. Arrivato in camera dell’albergo stavo spegnendo il telefonino attaccandolo alla batteria quando mi arriva un messaggio “Mi scusi l’ora sono Cassingena è sveglio?” Rispondo sì. Immediatamente squilla il telefono e dall’altra parte il Presidente mi dice che vorrebbe incontrarmi la mattina a Vicenza. Mi è venuta spontanea una domanda, capendo benissimo il motivo della richiesta senza dire altro: “E’sicuro di volere me?” Risposta: “Venga domani”. Il desiderio di tornare ad allenare si realizzava. Già da giugno, dopo il primo colloquio con il Presidente, la squadra mi intrigava, sono un “animale” molto istintivo in queste cose. Conoscevo i giocatori, avevo visto le strutture dove la squadra si allenava e avevo avuto sensazioni positive. Quindi la mattina, in macchina, ho chiamato immediatamente il mio preparatore, Prof. Alberto Ambrosio, dicendogli di trovarsi al casello di Brescia che saremmo andati a Vicenza “SICURO CHE AVREMMO FATTO ALLENAMENTO IL POMERIGGIO” perché lo volevo. L’incontro con tutto lo staff dirigenziale, compreso il Presidente, è stata una formalità perché io VOLEVO allenare il Vicenza ma, soprattutto,TORNARE SU UN CAMPO DA CALCIO. Quindi le scaramucce contrattuali sono state un proforma, l’importante era che tutti e due volessimo la stessa cosa. Da quel giorno sono rinato, gli anni di inattività sono scomparsi, l’adrenalina ha ricominciato a scorrere e tutto mi è sembrato naturale. Riprendo il discorso del VECCHIO perché la cosa è interessante. Già in altre occasioni e con uomini di calcio avevo chiesto come mai ero sempre in procinto di essere scelto ma poi venivo scartato. Nessuno, in apparenza, sapeva dare una spiegazione logica. Qualche settimana fa, parlando con un dirigente del Vicenza, ho fatto la stessa domanda e la risposta è stata “..Sai nel parlare di te nell’ambiente, tutti a dire che eri VECCHIO con metodi antichi, con un calcio non moderno, che vuoi giocatori esperti e non fai giocare i giovani ecc..” ma la cosa più bella è che ha aggiunto.. “quando li risento gli dico che, sorprendentemente, sei moderno con un’arma in più L’ESPERIENZA. Poi, un giorno, qualche solone del calcio mi spiegherà cosa vuol dire essere MODERNI in questo mestiere in una Nazione dove il RISULTATO è più importante del gioco. Nel prossimo articolo vi racconterò cosa vuol dire subentrare cercando di intuire, il più presto possibile, quali mezzi usare per fare rendere al meglio l’organico a disposizione. A presto.  

Gigi cagni


Quella Passione che ti riempie il petto

26 ottobre 2011


Ragazzi sono tornato. Come potete immaginare ho avuto un po’ da fare!!! Quelli che mi hanno seguito dall’inizio della mia avventura di “blogger” sanno quanto io possa essere felice di questa mia nuova avventura. Ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto l’in bocca al lupo (crepi sempre) e tutte le migliaia di persone che hanno interloquito con me in questi due anni di assenza dai campi. Per merito di tutti non mi sono mai sentito fuori dal mio mondo. Parlare di calcio per me è la vita. Le persone che mi sono vicine si sono accorte che, con l’adrenalina tornata in circolo, sono tornato un ragazzino. Lo dico sempre, e tante volte l’ho detto a chi di voi mi ha chiesto suggerimenti non solo tattici, LA PASSIONE è determinante per qualsiasi attività e se ”ti riempie il petto“ ti permette di superare qualsiasi ostacolo.

Sono tornato ad INSEGNARE calcio e ho la presunzione di dire che ne conosco diverse sfaccettature. Conoscerlo completamente è impossibile perché, fortunatamente, le varianti sono così infinite che non puoi avere la certezza di niente. Se ne hai la volontà ogni partita ti può insegnare qualche cosa di nuovo. Nella mia carriera ho giocato 600 partite ufficiali e fatto migliaia di allenamenti, vi posso assicurare che non c’è mai stato una volta che non mi sia stupito di qualche cosa  di nuovo, e non mi riferisco solo alla tattica. Questo è il motivo principale per cui mi sento ancora “principiante” con la bellissima sensazione di scoprire e apprendere giorno dopo giorno qualche cosa che mi stupisce o fa riflettere. Lo ripeto con grande gioia, voi mi avete aiutato a sentirmi sempre partecipe di questo mondo così variegato ma colmo di episodi che scatenano la voglia di mettersi sempre in discussione e alla prova. Adesso che ho ripreso il contatto con voi vi chiedo di portare pazienza ancora per 10 giorni. Dopo il trittico AlbinoLeffe, Juve Stabia e Gubbio riprenderò a rispondere alle vostre domande con il piacere di riuscire, in qualche caso, a risolvere i vostri interrogativi. A presto.

Gigi Cagni


Ripartiamo da Vicenza

6 ottobre 2011

Finalmente dopo 3 anni lontano da una panchina Gigi si riprende quello che è suo.
Suo perchè quello è il suo habitat naturale, sue sono le giornate sul campo, sua è l’aria dello spogliatoio, sue sono le competenze e l’esperienza che di nuovo sarà in campo oltre che qui.
Torna più motivato e incazzato di prima, torna consapevole che gli sbagli del passato saranno il suo punto forte del futuro ma soprattutto torna ad allenare una persona vera che ama a fondo questo sport.
Vai Gigi! ora dimostra a tutti che in questi 3 anni hanno fatto male a non volerti dare fiducia, perchè tu sei invecchiato solo anagraficamente.

Bentornato Gigi Il tuo Blog

 

Per chi non l’avesse notato Vi pubblico qui sotto i ringraziamenti del Mister al vostro affetto.


Allenare…….non è uno scherzo

17 giugno 2011

Venerdì 10 giugno sono andato a Vicenza chiamato dal direttore sportivo Cristallini, su richiesta del Presidente perché voleva conoscermi per valutare la mia candidatura.

E’stato un colloquio fra due persone della stessa generazione e che hanno parlato lo stesso linguaggio.

Mi ha detto subito che aveva incontrato, il giorno precedente, Silvio Baldini, che eravamo gli unici candidati per allenare la squadra e che, entro la domenica, mi avrebbero fatto sapere l’esito della scelta sia in un modo che nell’altro (così è avvenuto, dimostrando correttezza e rispetto delle regole).

Ho fatto questa premessa per introdurre un argomento molto attuale.

Una delle domande che mi ha posto il Presidente è stata: “Si è chiesto come mai sono 2 anni che non allena? Che risposta si è dato?”

Non ho avuto esitazioni perché questa domanda me la sono fatta centinaia di volte.

Ho probabilmente tanti difetti ma non quello di raccontarmi delle balle per giustificare i miei “insuccessi”.

Non l’ho mai fatto nella vita perché ho sempre ritenuto che essere intellettualmente onesti con se stessi, nella valutazione di quelle che sono le proprie azioni, anche se in certi momenti costa a livello psicologico, alla lunga paga e ti permette di crescere e sapere affrontare qualsiasi accadimento senza perdere l’autostima.

Comunque, tornando all’argomento, penso che siano cambiate tante cose in questi due anni.

Il numero di giovani allenatori, sicuramente di qualità e di buona prospettiva, è aumentato in modo preponderante.

Anche l’anno scorso se ne parlava, ed era venuta la moda, del GUARDIOLISMO ma nel campionato appena finito sono state cambiate tante panchine in A come non mai.

Quest’anno la cosa si sta ripetendo e mi piacerebbe sapere dai presidenti o da chi ne fa le veci i parametri delle scelte.

Lungi da me il fare questo discorso per invidia o per altri motivi se non per il fatto che la cosa, oltre che a riguardarmi, mi intriga per capire il motivo per cui nella società calcistica attuale non conti più il curriculum.

Sono per la modernità e per il progresso ma sono, anche, per la costruzione del proprio futuro passando attraverso le esperienze necessarie per raggiungere le competenze necessarie per affrontare qualsiasi difficoltà ti si presenti.

Mi hanno sempre detto di fare i GRADINI uno alla volta perché a ogni gradino consolidi quello precedente e se, all’inizio, cadi non sei tanto alto da farti male.

Se, invece, hai la frenesia di farne due alla volta e ti succede qualche cosa, cadi da molto più alto, ti fai più male e fai più fatica a rialzarti.

Così ho fatto e devo dire che mi è servito molto perché mi permette di avere, oggi, la sicurezza nell’affrontare qualsiasi situazione sia in campo che fuori.

E’una riflessione che faccio ad alta voce e mi rivolgo a tutti questi giovani allenatori.

Questo è un mestiere difficile, dove non c’è niente di scontato.

Non si finisce mai di imparare e la differenza tra le categorie è immensa, soprattutto dalla B alla A.

La preparazione della partita è la cosa più facile mentre la GESTIONE sia del gruppo che di tutto l’ambiente esterno (dirigenti, media e pubblico) è piena di insidie.

Per affrontare l’organizzazione del campionato nel modo più adeguato e costruire qualche cosa di solido e duraturo, devi avere tutte le conoscenze specifiche per risolvere tutti i problemi, non solo tecnici, che QUOTIDIANAMENTE ti si presentano.

Mi permetto di dare un consiglio a tutti questi giovani allenatori che vedremo nei nostri prossimi campionati: ”Ponderate bene le vostre scelte andando in Società che vi diano garanzie di credere in voi e quindi di difendervi nei momenti critici”.

Purtroppo ho il sospetto che i motivi per cui, molti Presidenti, affideranno le loro squadre ad allenatori meno esperti sarà solo perché costano meno e accettano qualsiasi organico gli venga messo a disposizione.

La speranza, invece, è che questa tendenza sia figlia di mentalità progressista e convinzioni solide di progetti lungimiranti (l’ho scritta di getto ma nel rileggerla mi sembra un po’ ironica, mah!)

In bocca al lupo.

Gigi Cagni


Alla mostra del Piace

29 aprile 2011


Tecnica difensiva individuale

5 aprile 2011

A 14 anni sono entrato nelle giovanili del Brescia, dopo avere giocato nella squadra dell’oratorio sia a 7 che a 11, con il ruolo di terzino MARCATORE  sinistro. Avevo un fisico normale ma con due gambe possenti e polpacci da sprinter. Non tanto alto(1,77), ma per quel ruolo non era importante visto che le ali erano punte veloci e dribblomani ma non grandi colpitori di testa. Il sistema  di gioco era uno solo, il 4-3-3 ma non come è interpretato oggi . Tutte le  squadre avevano 4 difensori puri, uno dei due centrali, più tecnico, faceva il libero staccato, l’altro, più difensore e forte di testa, lo stopper. I due terzini erano rapidi, veloci e aggressivi, non necessariamente bravi tecnicamente. Tre c.c. di cui il centrale regista puro, bravo tecnicamente, grande personalità e visione del gioco ma senza compiti difensivi, a quello ci pensavano i due c.c. laterali, di cui uno poteva essere più offensivo dell’altro, ma sempre, come prima prerogativa, doveva avere capacità tattica difensiva . Le tre punte erano formate da due ali(il mancino a sx e il dx a destra)veloci e rapide con dribbling fantasioso e cross di precisione, mentre il centravanti era forte fisicamente, forte di testa, tiro potente e bravo a fare la sponda. Come potete intuire le partite erano imperniate su duelli continui perché ognuno manteneva la propria zona e aveva in contrapposizione il diretto avversario  in quella zona. Solo il libero doveva spaziare sulla larghezza del campo per aiutare il compagno in difficoltà. E’chiaro che si facevano anche, sia le diagonali che le scalature nei momenti di grande difficoltà ma, in generale, si assisteva a continui duelli fra gli opposti nel ruolo. Quindi, già da ragazzino, se avevi caratteristiche tecniche da difensore, dopo un breve riscaldamento con tecnica individuale uguale per tutti,  venivi preso dall’allenatore che ti insegnava tutti i principi basilari della fase difensiva. Nella parte espressamente della tecnica fondamentale c’erano il colpo di testa e il contrasto. Per il primo le fasi erano due, inizialmente la FORCA(palo con carrucola e corda a cui era attaccato il pallone, che quindi poteva essere alzato o abbassato conforme alle esigenze e all’altezza del giocatore) e poi  a corpo libero con un compagno davanti (fermo, senza contrastare) e l’allenatore che ti faceva fare tutte le simulazioni sia per il colpo di testa che per l’anticipo. Per il secondo, ci mettevamo a coppie e ci venivano insegnate tutte le tecniche del contrasto. Poi andavamo in campo schierati e, iniziando da uno dei terzini per poi arrivare all’altro attraverso i due centrali, ruolo per ruolo, ti allenavi sulla posizione del corpo in riferimento alla porta, all’avversario e infine ALLA PALLA. Ho scritto in maiuscolo palla, perché penso che l’errore più grave che viene fatto dai difensori oggi, soprattutto in area, sia quello di guardare la palla e non l’avversario, sempre in riferimento alla porta naturalmente. LA PORTA, quello deve essere il primo punto di riferimento. Se io sto  difendendo il primo pensiero deve essere quello di DIFENDERE dove si prende il gol, il secondo CHI LO FA IL GOL e, per ultimo, l’ oggetto che fa realizzare la rete. Quindi non può essere la PALLA la mia prima preoccupazione ma LA PORTA E POI L’AVVERSARIO. La posizione del mio corpo deve essere sempre fra l’una e l’altro pronto a anticipare ma in una posizione intermedia per non essere scavalcato. Determinante è la POSTURA e cioè il corpo deve essere pronto sia per saltare che per contrastare, quindi leggermente curvo, le braccia leggermente piegate e aperte per l’equilibrio e per difendersi dall’avversario ma, soprattutto, il compasso delle gambe largo quanto i fianchi per essere pronto a qualsiasi sollecitazione di scatto, di contrasto o di esplosività per lo stacco (uso dire con IL COMPASSO STRETTO per rendere meglio l’idea). Il mantenimento del COMPASSO STRETTO, comunque, serve per tutti  i gesti tecnici individuali, perché se hai il difetto di allargarlo, pensando di arrivare prima, fai un errore gravissimo in qualsiasi situazione e in qualsiasi ruolo, anche perché ti trovi in una posizione di equilibrio precario. Tutto questo diventa determinante per il CONTRASTO. Se io chiedo ad un giocatore quale deve essere il suo obiettivo primario nel contrasto sapete cosa risponde?…..PORTARE VIA LA PALLA. E invece sapete cosa voglio io? CHE L’AVVERSARIO NON PASSI ! Quindi non mi interessa molto che riesca a conquistare la palla ma, che l’avversario non mi scavalchi. Quindi il contrasto lo devo fare sempre con il mio corpo di fronte al suo, bene fermo con tutto il peso sull’arto che contrasta. Ecco perché il contrasto scivolato lo voglio solo se si è sicuri di prendere la palla altrimenti non ha importanza se la prende l’avversario. Altro principio fondamentale  è che DEVO SCIEGLIERE IL MALE MINORE e non il rischio. Sto chiaramente parlando di situazioni che avvengono, dalla nostra metà campo alla nostra porta. Ho l’impressione che tutto questo non sia più alla base dell’insegnamento moderno, considerando i gol che si vedono in tutto il calcio Europeo. Spero di essere stato abbastanza chiaro, consapevole che la materia è molto più ampia ma può essere l’inizio di un dibattito specifico e di interesse comune visto che non se ne parla mai a livello mediatico.

Gigi Cagni


30 anni ad inseguire un pallone

28 marzo 2011

In questo ultimo periodo ci sono molte persone, ventenni ma anche quarantenni,  che mi chiedono:  ”Come erano gli anni sessanta e settanta ?” Poi Marco mi ha chiesto di parlare del periodo della Sambenedettese.  Immediatamente mi sono passati nella mente 30 anni della mia vita.

Non preoccupatevi ,  non ve li racconterò tutti ma solo alcuni pezzi  importanti e significativi.  Non ho fatto mai un compito scolastico a casa nella mia vita, non ero tagliato per lo studio, e poi si è visto..(non fatelo, a quei tempi era possibile perché anche le condizioni erano diverse, e riuscire nella vita era comunque possibile perché c’era tutto da costruire e le opportunità erano molte) perché in prima ragioneria non avevo la sufficienza nemmeno in condotta. L’unica passione era il pallone. Sempre a giocare, nei vicoli del centro storico o all’oratorio.

A 14 anni sono andato a lavorare (da quell’età fino ai 17 ne ho cambiati di lavori per poi finire in fabbrica) ma, nello stesso periodo, ero stato preso nel settore giovanile del Brescia. Alla domenica  sveglia presto e a VEDERE la partita, perché c’era solo il DODICESIMO in panchina e quindi, o eri titolare o andavi in tribuna. Ero il più giovane della Juniores e quindi ho fatto un anno intero, solo ad allenarmi, e soffrire, ma  ad imparare tanto (gli allenatori erano MAESTRI e i nostri genitori non interferivano mai nelle loro decisioni).

Qualche pomeriggio, lavorando, non potevo partecipare agli allenamenti,  ed uno di questi maestri (Gigi  Messora) che credeva in me,  veniva appositamente alla sera nell’oratorio del mio quartiere ad allenarmi.

A 15 anni diventai titolare e feci tutta  la trafila fino alla primavera (nel frattempo i giocatori in lista passarono a 13, poi 14, fino ai 18 di oggi). Guadagnavo bene a fare l’operaio e la mia famiglia ne aveva bisogno, ma un giorno mi si prospettò di fare il professionista, la decisione comportava, però, il dover consegnare le dimissioni al lavoro. L’istinto e la passione vinsero sull’arrabbiatura di mia madre, che voleva il posto sicuro. Iniziai la mia carriera calcistica.

Giocare per  14 anni con la maglia della squadra della mia città è stata una delle emozioni più belle della mia vita. Se poi penso che, nei primi anni settanta ci fu un periodo in cui 7/11 erano bresciani e in campo si parlava dialetto, mi viene la pelle d’oca.

Ma le favole nella vita non esistono.

A 28 anni discopatia S1-L5, problemi alle gambe per infiammazione dello sciatico,il medico disse in società che ero finito (a quei tempi l’età media di durata dell’attività era 31 anni, un po’di più per chi giocava libero, e  le conoscenze terapeutiche erano limitate all’operazione chirurgica).  Il proprietario del cartellino era la società e quindi a novembre del 78 venni VENDUTO alla Sambenedettese, senza poter rifiutare anche perché un dirigente mi disse:  ”Se non vai ti faccio smettere”.

Avevo fatto i primi due anni da professionista firmando il contratto in bianco: era troppa la gioia di portare quella maglia. Avevo fatto gare con la febbre o con infiltrazioni anti dolorifiche perché “AVEVANO BISOGNO DI ME”.  Quello era il ringraziamento.

La rabbia e l’orgoglio mi fecero da sprone per pensare che avrei smentito la loro sfiducia e previsione.

San Benedetto del Tronto: non sapevo nemmeno dove fosse, pensavo di andare al SUD.  Lì ho poi vissuto altri 9 anni fra i più belli della mia vita. Lo stadio era vicino al mare, piccolo e raccolto, niente pista e le linee erano al limite delle misure regolamentari di distanza dai muri degli spalti. Il tifo calorosissimo e assordante.

Nelle partite importanti e, soprattutto, nel derby con l’Ascoli, pieno all’inverosimile.  Era un grosso vantaggio giocare in casa. Sono sempre stato un giocatore di grinta e agonismo, lì ho portato all’ennesima potenza la mia carica e, dopo i primi anni, sono diventato il capitano e l’emblema di quella squadra fino all’87 quando tornai a casa. I primi due anni non sono stati facilissimi perché nel primo ci siamo salvati alla fine e nel secondo siamo retrocessi. Avrebbe potuto essere la fine di tutto e invece fu l’inizio, per me, di una nuova vita.

A 30 anni in C1 a San Benedetto non aveva senso. Come ho detto all’inizio, giocando terzino sx, non avrei avuto ancora molti anni di carriera davanti a me e quindi la C1 mi conveniva farla vicino a casa e prepararmi il futuro. Come dico sempre” la fortuna passa per tutti”, la bravura sta nell’essere pronti a coglierla. Dico questo perché quando andai in sede per ritirare gli assegni (come sempre posdatati ottobre-novembre-dicembre) degli ultimi tre mesi di stipendio, ebbi la FORTUNA di avere un colloquio con Nedo Sonetti, futuro allenatore della della Samb. Mi chiamò nel suo ufficio e mi propose di rimanere perché riteneva fossi l’uomo giusto, per esperienza e carisma, come guida di una squadra che doveva vincere il campionato e tornare in B immediatamente.  Usò tutti i mezzi di persuasione ma senza risultato finchè, mentre stavo per  uscire dall’ufficio, disse la frase più geniale e convincente si potesse dire in quel momento: “E se giocassi LIBERO?”. Rimasi fulminato, mi si accese la lampadina e mi passarono davanti tutti gli anni futuri in quel ruolo. Mi fermai, mi girai e dissi “PARLIAMONE”. Iniziò per me una nuova carriera calcistica piena di soddisfazioni che mi forgiò, soprattutto, come uomo. Iniziò, anche, la mia nuova  mansione calcistica e cioè quella di ALLENATORE in campo.  Sette  anni splendidi, pieni di soddisfazioni (vincemmo subito il campionato di C1 ,tornammo in B e ci rimanemmo finché non venni via nell’87)ed esperienze da leader che mi sono servite per intraprendere, con più sicurezza ,quello che sarebbe poi diventato il mio lavoro di allenatore. Oggi capisco anche il perché ogni Mister che veniva alla Sambenedettese , pretendeva la mia riconferma, anche quando avevo 36 anni. Troppo importante avere il leader e l’allenatore in campo. Oltre a quello ho fatto LA CHIOCCIA  a decine di giovani giocatori. Il loro complimento più grande è stato, rivisti in seguito a carriere brillanti,che li avevo aiutati a crescere più come UOMINI che calciatori. L’ambiente era ideale perché molto familiare e ristretto, ma con pressioni costanti e grande passione da parte dei tifosi. L’importante era dimostrare il proprio attaccamento alla squadra e alla maglia, si doveva uscire dal campo avendo dato tutto. Se avevi fatto questo nessuno ti rimproverava niente. Niente personalismi, la maglia e i tifosi andavano rispettati con il tuo comportamento in campo e cioè carica agonistica e grinta per i colori ROSSO-BLU. Questi principi varrebbero ancora oggi ma il SISTEMA è così cambiato che è molto difficile trovare sia i leaders che le BANDIERE. Una cosa è certa, io mi reputo fortunato per avere vissuto in un periodo così pieno di avvenimenti ed esperienze che mi hanno fatto crescere giorno dopo giorno senza rimpianti e, soprattutto, senza mai essermi mai ANNOIATO.

Gigi Cagni


Siamo al giro di boa……

27 dicembre 2010

Siamo quasi alla fine del girone di andata di Campionati che non hanno
sicuramente brillato per qualità e spettacolarità,anzi.
Contrariamente alle previsioni di molti “ESPERTI” non c’è stata la solita falcidia di allenatori.
Premesso che questo è avvenuto, probabilmente, per mancanza di soldi e quindi i Presidenti hanno preferito pagarne uno solo, sperando che le cose potessero cambiare naturalmente, vedrete che appena si avvicinerà la fine e avranno il timore di non raggiungere l’obiettivo, ci saranno grossi cambiamenti.
Tutta questa premessa l’ho fatta per accentuare il problema più grave, secondo me, che non permette al nostro calcio di adeguarsi al livello Europeo, e cioè la mancanza di PROGRAMMAZIONE e RISTRUTTURAZIONE delle componenti essenziali del CARROZZONE CALCIO.
Non puoi pretendere di dare uno spettacolo degno di questo nome con degli stadi che non si vedono nemmeno più nei paesi dell’Est.
Non si capisce come mai ci siano un numero notevole di imprenditori che vorrebbero costruirne di moderni, con tutti i confort, e quindi investire anche sulla squadra, ma non gli viene permesso per motivi di cui è difficile capirne la ragione.
Verrà pure da noi il momento in cui qualcuno riuscirà a permettere l’attuazione di una ristrutturazione adeguata per il rilancio di un calcio moderno che possa fare tornare la gente allo stadio, comprese le famiglie.
 Abbiamo tutti gli strumenti e le potenzialità ma, come al solito, nessuno ha il coraggio di fare cose, anche impopolari, per lo sviluppo di questo settore che, oltretutto, è fra i primi 10 in Italia per produttività.
Il tutto non può non influire sulla qualità dello spettacolo calcistico.
I settori giovanili dovrebbero essere la nostra risorsa ma senza investimenti adeguati la cosa diventa difficile.
E’ chiaro che si preferisce andare a prendere giovani giocatori stranieri perché costano meno, e quindi, risparmiare sull’assunzione di allenatori professionisti che graverebbero in modo inadeguato sul bilancio.
Abbiamo l’ Università del calcio e gli allenatori più preparati ma non siamo capaci a sfruttarne le potenzialità.
Tornando ai nostri campionati, la mia impressione è stata che, già nel girone di andata, si sia pensato più al risultato che al gioco e quindi ne ha risentito lo spettacolo.
Troppa paura dell’esonero da parte degli allenatori,troppa importanza ECONOMICA la sconfitta sul campo.
Non può essere di importanza vitale una retrocessione o il non raggiungimento di un obiettivo.
Tatticamente c’è stata questa esplosione del rombo che, in molti casi, non aveva ragione di essere scelta perché non c’erano i giocatori adatti per attuarlo.
Ho visto cercare di trasformare giocatori che, di solito, o erano seconde punte o esterni offensivi,in ½ punte, con dei risultati improponibili.
Non so per quale motivo noi allenatori, alle volte, cerchiamo di emulare nostri colleghi che ottengono ottimi risultati con tattiche un po’ diverse dalla norma,senza avere giocatori adatti per praticarle.
Continua ad essere, per me e per certi miei lettori, inspiegabile il modo in cui vengono subite delle reti con errori che dimostrano la non conoscenza delle basi della specificità del ruolo.
Forse perché si sta esagerando nella maniacalità della parte tattica e fisica piuttosto di quella tecnica?
Come dico sempre, se tutto funzionasse come
dovrebbe, questo lavoro andrebbe fatto nei settori giovanili con allenatori preparati a farlo, e non da quelli della prima squadra.
Lo dico da anni, il mio sogno sarebbe fare come nel calcio americano e cioè: la preparazione fisica responsabilità individuale del giocatore (con quello che guadagnano), quella tecnica specifica dal trainer e, infine, quella tattica dall’allenatore in prima che  perciò diventerebbe come il COACH americano.
Non voglio fare come quelli che criticano e basta, senza proporre niente, solo per il gusto di criticare il sistema.
Quindi, siccome penso che la filosofia di un passo alla volta paghi, secondo me la costruzione di stadi di proprietà è la cosa necessaria e primaria per poi, di conseguenza, arrivare alla soluzione di tutte le altre problematiche. Buon anno a tutti.

Gigi Cagni


Reja – Del Neri : omaggio all’esperienza

2 novembre 2010

Anche se sta piovendo e il mare è in burrasca da tre giorni, dopo avere letto l’ articolo di LUIGI GARLANDO sulla Gazzetta dello Sport in cui si parla di Reja e Del Neri, mi sento orgogliosamente coetaneo di allenatori che stanno dimostrando quanto sia semplice il calcio,e non pieno di strane alchimie.
Finalmente qualcuno che ha capito l’importanza, nel calcio moderno, di allenatori di esperienza. Il punto sta nella parola “MODERNO”.
I presidenti associano la parola a GIOVANI. Cioè pensano che per fare il calcio moderno è necessario avere allenatori giovani, perché quelli che lo sono meno – giovani naturalmente -,non sanno interpretarne l’attualità. Premettendo che, tutti gli allenatori giovani italiani sono molto bravi nella conoscenza dei sistemi di gioco, non lo possono essere altrettanto nella loro interpretazione. La ragione è semplicissima e di facile intuizione. Mi ricordo spesso cosa mi disse – ero ancora giocatore negli anni 80 – Biagio Govoni vecchio direttore sportivo a S.Benedetto, intuendo che avrei fatto l’allenatore: ”Non avere fretta, fai il settore giovanile per iniziare, non volere subito i grandi club, imparerai cose che poi ti serviranno molto e ti permetteranno di sbagliare meno”.
Aveva perfettamente ragione, quello che ho imparato nella primavera del Brescia e poi a Cento in C2, mi hanno permesso di andare a Piacenza e vincere il campionato di C1 e poi tutto il resto. In quei primi anni ho sperimentato tutto quello che poi sarebbe diventato un bagaglio determinante per tutta la mia carriera.
Dalla preparazione fisica (nei primi due anni da professionista l’ho fatta io, poi ho avuto la collaborazione del prof.Ambrosio) alla tattica e alla gestione del gruppo, forse la più difficile oggi da fare. Nella mia carriera di giocatore ho disputato 600 gare ufficiali, da allenatore circa 700, non una uguale all’altra,magari simili ma uguali mai. Lo dimostra il fatto che tante volte ho fatto le STESSE mosse tattiche in gare diverse, ma l’esito è stato completamente diverso.
Il calcio ha così tante varianti nel suo svolgersi che non c’è nessuno che può dire di conoscerlo. Se qualcuno vi dice che capisce di calcio mandatelo da me che gli dimostro subito quanto non sia vero.
Eppure è semplice ed è alla portata di tutti, soprattutto oggi con i mezzi di comunicazione a disposizione. Ma è proprio questo il punto, la grande esposizione mediatica ha fatto si che LO SI FACESSE DIVENTARE UNA SCIENZA e che i NON-SCIENZIATI non fossero in grado di farlo interpretare. Quando, invece, il segreto sta proprio nella sua SEMPLICITA’.
Nella partita ci sono due cose da conoscere fondamentali tattiche e cioè: LA FASE DIFENSIVA E QUELLA OFFENSIVA.
Poi, siccome il calcio moderno, aimè, è più fisico che tecnico, ci vuole una grande condizione psico-fisica. E, infine, siccome tutti siamo esposti ai riflettori dei mezzi di informazione, devi essere preparato a sopportare tutti i pregi e i difetti di questa condizione.
Le pressioni e l’esposizione mediatica sono le più difficili da gestire. Il tutto non si impara in breve tempo e con poche partite. Puoi avere disputato 1000 gare da giocatore ma quando passi dall’altra parte è tutto un mondo diverso, soprattutto perché sei SOLO nelle decisioni e da SOLO ne devi sopportare gli insuccessi quando, invece, i successi sono condivisi.
Detto questo, non ho voluto scrivere questo articolo per tirare l’acqua al mio mulino, ma solo per rendere omaggio a due allenatori di una certa età che stanno dimostrando il loro valore in questo calcio MODERNO E STRESSATO.Gigi Cagni

L'articolo della Gazzetta a cui si riferisce il Mister

L'articolo della Gazzetta a cui si riferisce il Mister


3 Novembre 2010: 1 anno di Blog

1 novembre 2010

Tanti Auguri al nostro Blog che in questi giorni festeggia un anno di vita

Un  anno fa nasceva questo blog, la mia curiosità era grande, l’impegno anche.
Prima di iniziare avevo  mille perplessità perché,come sempre,voglio fare le cose con professionalità e competenza perché tengo molto alla mia immagine di tecnico esperto e conoscitore di tutto quello che riguarda l’immensa sfera di conoscenze calcistiche.
Quindi ,oltre ad avere timore, avevo la curiosità di
vedere la risposta di chi avrebbe letto il blog e interagito con me.
Con grande
gioia,oggi,ho il piacere di poter dire che ha funzionato.
Lo posso dire perché le
40000 visite da tutto il mondo lo dimostrano. Quindi il mio intento è di proseguire questa esperienza che mi ha gratificato sia come allenatore che come uomo.
Questa occasione mi permette di  RINGRAZIARE  Marco e Fabio per avermi co
nvinto a realizzarlo e grazie a  tutti quelli che hanno avuto il coraggio di pormi le domande e farmi fare l’allenatore ,anche se in modo MEDIATICO,con la stessa passione di quando sono sul campo.
A presto.

Gigi Cagni