Quanto mi è piaciuto giocare a pallone!!! E’ stata la mia esistenza e lo è tuttora ma in un ruolo diverso. Le vibrazioni che da l’adrenalina, la pelle d’oca e le ansie pre-gara , sono sensazioni impagabili.
Nell’ultima partita delle mie 600 da professionista ho avuto tutte le stesse emozioni provate nella prima quando ho esordito a Cagliari a 19 anni in A. Anche adesso da allenatore, e con qualche anno in più di esperienza, le cose non sono cambiate molto, fortunatamente.
Sono cambiate le responsabilità seppur, negli ultimi anni da giocatore, facevo già l’allenatore in campo. Mi sentivo responsabile anche di certe sconfitte perché dipendevano molto da come gestivo il mio ruolo nel comandare la squadra, soprattutto nella fase difensiva, ma anche nella preparazione della gara durante la settimana , negli allenamenti , per l’esempio che dovevo dare ogni giorno. Quindi, quando ho iniziato a fare l’allenatore avevo già provato certe situazioni psicologiche di quando hai la diretta responsabilità di una squadra e della programmazione sia della partita che della stagione con un obiettivo importante da raggiungere.
Certo che le situazioni sono differenti, fare il leader da giocatore è diverso che da allenatore, ma le due cose sono in parte simili ed è il motivo per cui non ho avuto grande difficoltà a sopportare le prime grosse responsabilità quando ho iniziato con la mia prima squadra professionistica a Cento in C2 nell’ 89.
Sapevo di dover dimostrare ogni giorno che la fiducia datami dalla società era ben riposta ma, soprattutto, dovevo guadagnarmi la stima dei giocatori. Ero convinto che il mio modo di lavorare e i mezzi che usavo, anche se un po’ PESANTI, avrebbero dato dei frutti.
Oltretutto non avevo collaboratori miei, ero solo, facevo anche la preparazione atletica, mentre i portieri, invece, li allenava un collaboratore della società . Mi ricorderò sempre le sensazioni della prima settimana di preparazione della mia prima gara di campionato.
Il metodo non era quello attuale. Già i primi giorni, dopo avere visionato in cassetta e letto la relazione dell’osservatore del futuro avversario, iniziavo ad immaginarmi la formazione più adatta per l’incontro e, quindi, nelle esercitazioni tecnico tattiche, predisponevo i giocatori simulando quelle che potevano essere le situazioni di gara della domenica.
Emotivamente ero già in fibrillazione sprecando un sacco di energie vivendo giorno per giorno quello che sarebbe potuto avvenire la domenica.
Anche la formazione la decidevo già perché, facendo così, pensavo di avere un vantaggio tattico. Ero convinto che chi era escluso capisse e si adeguasse alla decisione avendo comunque un comportamento professionale.
Così, la domenica mattina andavo nelle camere, dopo la prima colazione, passando inizialmente da chi non giocava pretendendo che comprendessero e, soprattutto, accettassero tranquillamente le mie spiegazioni riguardo l’esclusione.
Naturalmente le loro espressioni non erano delle migliori e se il loro comportamento settimanale era stato esemplare, andavo in crisi perché mi dispiaceva. Altre energie sprecate inutilmente. Se, poi, accadeva che un giocatore titolare non potesse entrare in campo perché la domenica mattina si era sentito male o aveva un problema muscolare, mi saltavano tutti i piani e dovevo rifare tutto, di nuovo, spreco di energie utili.
La formazione e le disposizioni tattiche dell’incontro, comprese le palle inattive a favore e sfavore, più quello che erano le mie sensazioni emotive e ciò che volevo da loro sottoforma di concentrazione e carica agonistica, le trasmettevo con grande enfasi in albergo prima di salire sul bus per andare al campo.
Nello spogliatoio, mentre si cambiavano, andavo uno per uno, e ripassavo i loro compiti sia tattici che tecnici conforme al ruolo (es: al difensore ricordavo la posizione del corpo e cosa dovesse fare contro un attaccante veloce e dribblomane).
Quando ritornavano, dopo il riscaldamento, stavo in silenzio finché non veniva l’arbitro per l’appello, cercando di capire quali fossero le loro sensazioni da quello che si dicevano e dai loro comportamenti .
Se intuivo, o non “SENTIVO” LA MUSCOLATURA, se avvertivo un’atmosfera, secondo me, non adatta allo spirito agonistico che io pretendevo, iniziavo a spronarli e catechizzarli con un tono molto elevato, con espressioni colorite e di grande impatto empatico, il tutto lasciandomi trasportare dall’istinto e dalla passione.
L’inizio della partita era la liberazione perché entravo in trans agonistica e tutto si dipanava, diventavo lucido e deciso vivendo attimo per attimo ogni azione e ogni movimento dei miei giocatori come se la giocassi io.
Oggi, dopo tanti anni di esperienza, sono cambiati i metodi di preparazione settimanale della partita. Non decido la formazione il martedì, li tengo tutti sulla corda, non do spiegazioni la domenica, chi le vorrà, con grande piacere, il martedì successivo nel mio spogliatoio o davanti a tutti conforme alle esigenze del giocatore stesso.
Chi andrà in campo lo scrivo su un foglio, con tutti i compiti tattici dei singoli e di squadra comprese le palle inattive, dopo che il dottore mi ha comunicato che tutti stanno bene e dopo la passeggiata con Lorieri (allenatore dei portieri e mio SECONDO), con cui ho condiviso le mie decisioni e avuto un confronto di opinioni. Arrivo all’incontro in albergo, prima di partire per il campo, più lucido e sereno.
TUTTO IL RESTO E’UGUALE A 20 ANNI FA,CHE EMOZIONI,CHE ADRENALINA.
Troppo bello!!!
