MOMENTI INDIMENTICABILI

5 marzo 2011

Prendo lo spunto da quello che mi ha scritto Christian sul blog per raccontare una delle mie più belle giornate da allenatore.
Ero stato ingaggiato dal Piacenza in serie C1 nel 1990, dopo avere fatto un anno in C2 nella Centese. Avrei avuto la possibilità di andare in B sia con il Monza che con il Como ma, NON AVENDO IL PATENTINO DI PRIMA CATEGORIA, mi sembrò giusto e corretto andare nella categoria giusta per la mia qualifica. L’altra cosa importantissima fu che venni contattato dal direttore sportivo Giampiero Marchetti, ex giocatore di Atalanta e Juve, bresciano come me, con cui ebbi immediatamente la sensazione che si parlasse lo stesso linguaggio calcistico. La cosa venne avvalorata quando, in seguito, conobbi sia il vice presidente Rag. Quartini che il presidente ing.Garilli. Uomini di una generazione fatta di lavoro e onestà intellettuale, con dei principi basilari per permettere all’allenatore di dare l meglio di sé. Era chiaro che volevano VINCERE, ma sapevano anche che perché accadesse dovevano darmi tutti gli strumenti per farlo. Carta bianca, prima di tutto, ma anche la responsabilità del dovere raggiungere l’obiettivo con i mezzi da me scelti e il tempo GIUSTO per poterlo raggiungere. Quindi iniziai dalla C1 con un organico molto forte (Occhipinti, Braghin, Cappellini, Cornacchini, Piovani ecc… alcuni dei più forti ma gli altri erano allo stesso livello).

Le promozioni erano solo due e il campionato era molto difficile. Puntai, per prima cosa, sull’aspetto fisico, sempre per il principio che, per me, se un giocatore è nella migliore condizione psico-fisica, rende al massimo in quella tecnico tattica.
Quindi CULO MOSTRUOSO in ritiro. 4 settimane in Val Seriana, erano distrutti, ma io soddisfatto perché avevo capito di avere un gruppo che sapeva sopportare grossi sacrifici (alla terza settimana, sentiti gli umori, dissi che chi voleva poteva andare a casa per 2 giorni o fare venire le mogli o le fidanzate a trovarli in ritiro. Dopo una breve riunione venne il capitano e mi informò che TUTTI volevano rimanere perché credevano a quello che gli avevo detto e cioè che da quel sacrificio si potevano costruire le vittorie. Da lì capii di avere un gruppo vincente).
Impostai il campionato sulla fase difensiva perché c’è un principio che vale tuttora, e varrà sempre, e cioè se devi vincere a tutti i costi e hai appena iniziato la tua avventura in quel club, devi dare delle certezze di RISULTATO per far accrescere ai giocatori la fiducia nei propri mezzi, ed è statistico che vince chi subisce meno gol. Oltretutto avevo visto di possedere una squadra con delle qualità offensive che mi davano la serenità e che prima o dopo il gol noi lo avremmo fatto. Così fu e quindi, l’anno dopo in B, iniziai la mia costruzione non soltanto del risultato, anche se era determinante la salvezza mai raggiunta dal Piacenza negli anni precedenti, ma anche di dare il gioco che, secondo me, poteva dare risultato e piacere per noi e per chi ci seguiva. Non fu facile, ci salvammo alla fine per le qualità della squadra sia tecniche che professionali e morali (non è mai l’allenatore che vince ma i giocatori, l’allenatore deve essere bravo a farli rendere al massimo).
E da qui iniziò il GODIMENTO. Quasi la stessa squadra per il terzo anno, integrandola con elementi di sicuro affidamento sia tecnico che psico-fisico per le mie esigenze, per il mio AMATO 4-3-3. Ero ossessivo in ogni allenamento, pretendevo sempre il massimo sotto tutti gli aspetti, ero passionale perché LORO mi accendevano questa passione. Gli schemi che vi ho illustrato nel blog erano la base del nostro gioco sia difensivo che offensivo (ho sempre avuto il capo cannoniere del campionato, anche se mi avevano messo l’etichetta di difensivista) e si realizzava sempre meglio perché, con il loro aiuto, veniva modificato in ogni allenamento o partita.
Nelle gare ufficiali ero sempre in piedi e non sempre avevo espressioni da Lord Inglese, ma mi conoscevano e sopportavano perché sapevano che qualsiasi cosa dicessi era per il bene della squadra. Ero ossessivo per il gioco offensivo, li avevo convinti, con i fatti naturalmente, che quegli schemi erano efficaci sempre e contro chiunque. In tutti gli allenamenti c’erano sempre partitine a 1 tocco o tre tocchi massimo.

Volevo la pressione costante sull’avversario e cross, cross e ancora cross, costruiti sulla base dei nostri schemi (dico nostri perché le varianti si erano aggiunte volta per volta con il loro apporto, e poi provate e riprovate finchè non eravamo certi che fossero producenti ).
Credevano in me e io in loro.
Veniamo ora al fatto di cui ho accennato all’inizio e che mi ha dato lo spunto per raccontarvi un po’ delle mie esperienze all’inizio della mia avventura calcistica.
Cesena – Piacenza, campo splendido, clima giusto, squadra avversaria forte ma che prediligeva il gioco. Iniziata la partita ho capito subito che sarebbe stata la giornata ideale. Lo avevo già intuito nello spogliatoio (questa è una sensazione che sento molte volte e che spiego con una frase significativa ”SENTO I MUSCOLI” è proprio una sensazione fisica di TONICITA’ che avverto nello spogliatoio quando rientrano dal riscaldamento pregara )
Non ho parlato per tutta la partita, giocavano a memoria, gli schemi venivano come se fossimo in allenamento senza avversario. Nelle due fasi erano perfetti sia tatticamente che tecnicamente, corti e uniti sempre, mai una sbavatura e gli errori non si vedevano perché c’era immediatamente un compagno che sopperiva e non li rendeva evidenti.

Unico problema fu che De Vitis (uno dei più forti centravanti che abbia allenato) non inquadrava la porta. Vi posso dire che la cosa non mi interessava, giocavano troppo bene e il risultato era relativo in quel momento, GODEVO TROPPO, seconde me anche se non avessimo vinto sapevo che quella sarebbe stata la partita che mi avrebbe dato ancora più certezze per quello che era il mio credo calcistico. Per la cronaca vincemmo 1 a 0 con gol di Papais, con un tiro da 25m a pochi minuti dalla fine. Vi posso assicurare che una gara di quel tipo ti può sollevare da ogni delusione che questo lavoro ti può dare.

Ancora oggi, quando rivedo qualche giocatore di quei tempi, lo ringrazio per avermi permesso di esprimere le mie convinzioni al meglio. Non si può non amare questo mestiere.

Gigi Cagni


“Pensieri e Parole”….. di Luigi Cagni

9 gennaio 2010

In questo fine settimana sto vivendo una situazione emotiva e professionale che mi ripaga di tante amarezze e che mi riconcilia con il calcio proprio nella “mia terra” che,nella maggior parte dei casi,dimostra di avere ancora nel proprio DNA certi valori.

Non so come andrà a finire tra il mio amico Lino Mutti e me per la panchina dell’Atalanta, una cosa è certa, che è stato un “duello” leale e SPORTIVO che ha appassionato tutti e messo in risalto l’amore per la squadra da parte di tutte le componenti.

Le parole del presidente e le sue incertezze, certamente ponderate, unite al senso dei pensieri della tifoseria  si possono riassumere così: Qualsiasi sarà l’allenatore noi dovremo tifare senza contestare la scelta della società.

Questa la chiamo maturità e voglia assoluta e primaria delle sorti del proprio club (in seguito farò un articolo di cosa penso sul valore della MAGLIA).

Essere stimati da una società blasonata e da una tifoseria così passionale, essendo oltretutto bresciano,mi ha riempito di orgoglio.

Comunque vada, ringrazio tutti perché spero possa essere di insegnamento per tornare a vivere il calcio con passione e grande partecipazione senza cadere in atti negativi come quelli di Torino.

Gigi Cagni


A Stefano Borgonovo…..

31 dicembre 2009

Oggi non voglio parlare né di tattica né di tecnica ma voglio dedicare questo articolo all’uomo che più mi sta a cuore in questo momento e cioè STEFANO BORGONOVO. L’ho conosciuto 25 anni fa quando,da ragazzino ventenne,venne a giocare a S. Benedetto del Tronto mandato dal Como assieme ad un altro suo coetaneo Stefano Maccoppi. A quei tempi tutti i settori giovanili importanti del calcio italiano mandavano i loro migliori giovani a FARSI LE OSSA nelle squadre della categoria inferiore per abituarli,non soltanto all’insegnamento tattico,ma a forgiarsi, soprattutto, a livello caratteriale. Queste squadre puntavano anche sul fatto che nella Sambenedettese come in altre compagini, c’erano ANZIANI come me che potevano fare da CHIOCCE a questi talentuosi ragazzi. Quando Stefano arrivò, avrebbe dovuto essere la terza o quarta punta, ma dopo un breve periodo della preparazione precampionato, capii di avere a che fare con un talento naturale che doveva essere solo svezzato. Devo dire che tutti i giocatori che arrivavano da quei settori giovanili erano istruiti al meglio come professionalità ed educazione. Qui apro una parentesi per quanto riguarda il settore giovanile del Como di quei tempi,il responsabile,ora all’Atalanta, ( guarda caso ha un settore giovanile fra i più importanti) era Mino Favini, chiamato da me con grande orgoglio MAESTRO. Grande conoscitore di calcio, ma soprattutto, grande EDUCATORE.

Mino Favini e Gigi Cagni con Stefano Borgonovo

Per noi era facile gestire e insegnare a questi ragazzi; erano preparati al sacrificio, alla dedizione al lavoro, all’essere professionali ma soprattutto RISPETTOSI delle regole e delle gerarchie di un gruppo. Essi sapevano perfettamente quanto queste componenti erano importanti per il raggiungimento dell’obbiettivo finale. Quello che è avvenuto quell’anno fa parte dei miei ricordi più belli da calciatore. Iniziammo malissimo,l’allenatore era Liguori alla sua prima esperienza in B. Dopo una sconfitta a Bologna presi una decisione, unica nella mia vita, di parlare con il presidente per convincerlo a cambiarlo. Non lo feci da scorretto, come in certi casi accade oggi, perché lo dissi anche all’allenatore stesso:un tempo si aveva il coraggio delle proprie azioni e se ne subivano le conseguenze qualsiasi esse fossero. Così arrivò Mazzetti che con il suo modo di fare paterno riuscì a raddrizzare la situazione e con l’aiuto di noi anziani naturalmente, ci salvammo. Borgonovo esplose facendo 14 gol e iniziò la sua sfolgorante carriera. C’è un’aneddoto che mi inorgoglisce e che Stefano mi rammenta tutte le volte che vado a trovarlo e lo sintetizza così :”Dimmi quale altro tuo compagno ha fatto 60 metri per abbracciarti dopo avere fatto gol?“nessuno se non lui,solo per dimostrare a tutti la sua riconoscenza per quello che stavamo facendo per quei ragazzi. Mi viene la pelle d’oca. Oggi,come tutti sapete,lui è fermo sdraiato in un letto senza la possibilità di muoversi perché affetto dalla gravissima malattia detta SLA. Ma la malattia ha vinto solo sul suo corpo ma non sulla sua mente.Mio figlio quando vuole ricevere una frustata emotiva per vincere le delusioni della vita,viene con me a trovarlo. Oggi è lui che AIUTA noi. E’ un esempio di forza, di volontà, di attaccamento alla vita, di gioia di potere aiutare, con la sua associazione, altre persone come lui in difficoltà. Ha la mente lucida e una memoria incredibile, è ironico e mi TIRA PER IL CULO sempre. Con gli occhi fa tutto e esprime tutto.Da quando ho saputo che si era ammalato sono andato spesso a trovarlo e quest ’ estate è venuto con la famiglia al mare dove ero io e ci siamo visti parecchie partite insieme. Qualche giorno fa….. a S.Stefano….. sono andato da lui a Giussano e mi ha fatto la sorpresa di farmi trovare,oltre che ai suoi collaboratori della sua scuola calcio,il grande Mino Favini. E’ stato un regalo bellissimo. In questi ultimi anni, da quando siamo tornati a frequentarci, è lui che mi sta dando un grande aiuto con il suo esempio.
Quando esco da casa sua, dopo ore che sembrano attimi, ho una sensazione di leggerezza e serenità che difficilmente provo.
Con i brividi e la pelle d’oca dico: “GRAZIE STEFANO “

Gigi Cagni