Così non può funzionare

11 luglio 2016

ritiro

Non so cosa sia successo veramente alla Lazio e non voglio entrare nel merito della vicenda. Ma nelle dichiarazioni di Bielsa ho colto una frase che penso sia la chiave di tutto per dare una piccola giustificazione a quello che sta accadendo da molti anni nel nostro campionato e che, secondo me, è una delle cause maggiori della poca qualità che si sta vedendo nei nostri campionati. La frase è questa” Per costruire una squadra che soddisfi me e faccia ottenere i risultati al club ho bisogno di andare in ritiro con un numero di giocatori BASE vicino agli 11/11 e non ai 5/11″ perché nel mio programma di lavoro, per partire al meglio, ho bisogno della rosa quasi al completo. Ripeto non voglio entrare nel merito di questa diatriba specifica ma queste dichiarazioni mi hanno fatto pensare a quando ho iniziato a fare questo lavoro. Al di là del fatto di cui ho già parlato, cioè alla scelta dell’allenatore che veniva fatta qualche mese prima della fine del campionato, la cui conseguenza era che si partiva con quasi tutta la rosa al completo per il ritiro. Il mercato era diverso, gli interessi ed anche e i giocatori erano inferiori, ma il sistema era quello giusto. La contraddizione sta nel fatto che tutte, o la maggior parte, delle squadre arrivano all’inizio della preparazione con un numero di giocatori esagerato, prendono l’allenatore all’ultimo momento e PRETENDONO RISULTATI subito. Come in qualsiasi tipo di costruzione è la base che ti permette di “edificare” al meglio, se non hai la possibilità di prepararla con criterio, dopo non puoi pretendere che stia “in piedi” bella eretta. Secondo me i Presidenti e i dirigenti di calcio oggi non hanno la minima idea delle difficoltà di un allenatore in ritiro precampionato. Non si rendono conto delle problematiche riguardanti la logistica e la programmazione giornaliera del lavoro tecnico-tattico e fisico per un allenatore con 30 giocatori. Come puoi allenare e costruire il campionato con gente che sa che se ne andrà e altri che arrivano dopo 15 giorni o addirittura, con il mercato aperto fino a fine agosto, dopo un mese. Quindi, o si dà il tempo necessario perché l’allenatore assembli un gruppo di giocatori che soddisfi le esigenze delle due parti (penso che il minimo siano almeno 10 gare di campionato) o si deve cambiare sistema e, forse, tutti ne avranno beneficio.


Non si improvvisa

28 giugno 2016
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Italy players react after Italy scored a second goal during Euro 2016 round of 16 football match between Italy and Spain at the Stade de France stadium in Saint-Denis, near Paris, on June 27, 2016. / AFP / MARTIN BUREAU (Photo credit should read MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)

 

E vai adesso, tutti sul carro dei vincitori.

Tutti a dire che non se lo aspettavano, che è stata una sorpresa, anche per addetti ai lavori di una certa importanza.

Qualcuno ha anche ammesso l’errore di valutazione, dando merito all’allenatore ma quasi nessuno ne ha capito il motivo vero.

Non voglio passare per presuntuoso ma, lo ammetto, per questo fatto lo sono.

Fortunatamente l’ultima intervista a livello nazionale l’ho fatta a Sky nella trasmissione “Calcio mercato” condotta da Alessandro Bonan.

Alla domanda ” cosa ne pensi della Nazionale ” ho risposto che, chiaramente, non sapevo dove sarebbe arrivata ma che avremmo fatto un ottimo Europeo sì.

La motivazione che mi ha spinto ad affermare questo è che abbiamo uno dei migliori, se non il migliore tatticamente e come leader, allenatore al mondo.

E’ da tempo che cerco di fare capire a dirigenti e Presidenti che la figura dell’allenatore oggi è molto più importante di un tempo.

Quello che sta accadendo, in Italia soprattutto, è proprio il contrario, e guarda caso facciamo fatica e il nostro campionato è quello più in crisi in Europa.

Troppo facile oggi Parlare di Ranieri, De Biasi, Ancelotti, Allegri, Spalletti, Mancini, Sarri, Gasperini Cosmi e altri.

Dobbiamo tornare al tempo in cui l’allenatore era scelto 6 mesi prima della fine del campionato.

Bisogna tornare al tempo in cui si valutavano gli allenatori per il curriculum e per quello che dimostravano sul campo, sia in allenamento che in gara, facendoli seguire da uomini della società come per i giocatori.

L’allenatore oggi è il leader, non ci sono più gli allenatori in campo (guarda caso nella Nazionale abbiamo anche quello e cioè Buffon) e quindi questa figura deve essere scelta come si sceglierebbe il General Manager di una grande azienda.

Questo vale anche per i settori giovanili naturalmente, forse ancora di più se si vuole investire in quell’ambito.

Difatti chi ottiene grandi risultati sono quelle società che hanno questa metodologia di scelta e non quella dell’improvvisazione.

Questo è il motivo per cui, da presuntuoso, ero uno dei pochi ad essere fiducioso della nostra Nazionale.

Un’altra previsione: se Conte riuscirà, in breve tempo, ad avere proprietà di linguaggio, se non quest’anno ma il prossimo, vincerà anche in Inghilterra.

Gigi Cagni


RESPECT!

20 aprile 2016

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Eccoci di nuovo con esoneri e situazioni indecifrabili e poco consone, secondo me, per ritornare ad essere un calcio appetibile e in linea con quello che accade in Europa.

Vogliamo proprio farci del male e continuare una caduta, tecnica, senza rete? Bene, diciamolo che così saremo pronti al disastro.

Non voglio criticare i presidenti per gli esoneri perché è un loro diritto e, quindi, facciano quello che vogliono, ma voglio mettere in risalto il fatto che la figura dell’allenatore, negli ultimi 15 anni, è stata delegittimata.

Per quello che è accaduto penso proprio che si ritenga, da parte dei dirigenti della maggior parte delle squadre di qualsiasi categoria, che la figura dell’allenatore non sia importante.

Lo si vede, non soltanto durante i campionati con gli esoneri, ma all’inizio nella scelta che avviene con parametri abbastanza discutibili (chi costa meno, quelli che accettano tutto quello che gli viene detto dalla società, l’amico dell’amico dell’amico o, addirittura nei dilettanti, chi porta lo sponsor e quindi danaro) tanto se va male lo cambiamo.

La cosa che stupisce di più è che nelle loro aziende non la pensano così e se vogliono avere successo devono prendere il meglio nel loro staff dirigenziale.

Anche nel regolamento calcistico la partita non può iniziare senza il medico in panchina ma senza l’allenatore sì.

Forse c’è qualche cosa che si deve fare per riequilibrare tutto il sistema visto che non mi sembra le cose stiano andando benissimo.

Penso, invece, che l’allenatore sia molto più importante oggi che anni fa quando, in campo, c’erano giocatori di grande personalità che facevano i “I VICE ALLENATORI” e aiutavano, soprattutto, nei momenti di difficoltà.

Non sono l’avvocato della categoria ma uno che ama il calcio e quindi il suggerimento è: tornate a scegliere il vostro Mister per capacità e curricula adatto alle vostre esigenze ma, ancor di più, sostenetelo sino a quando saranno i fatti, in modo indiscutibile, a farvi prendere decisioni drastiche.

Un’ ultima cosa “abbiate il coraggio di esonerare guardando in faccia la persona e non al telefono e, nelle dichiarazioni ufficiali, abbiate rispetto dell’uomo e della professione”.

Gigi Cagni


DIARIO DAGLI STATES (SECONDA E ULTIMA PARTE)

17 ottobre 2014

Gigi Cagni Red Bulls

È finita, purtroppo, la mia esperienza americana.

Il “purtroppo” non è tanto perché qui si stia male e là bene (riguardo al concetto di organizzazione e modo di concepire lo Stato e il rispetto delle regole sicuramente sì e ciò vale anche per il calcio) ma quanto perché due mesi non sono sufficienti per imparare l’inglese. Quantomeno non abbastanza per sostenere dialoghi di un certo livello.

Oggi però, potrei allenare una qualsiasi squadra e farmi capire, andare in giro per il mondo e farmi capire e, certamente, capire quello che mi stanno dicendo.

I due obiettivi che mi ero prefisso li ho raggiunti.

Della mia personale conoscenza della lingua inglese a voi interessa poco, ma capire se ci fosse la possibilità di entrare nel calcio americano e portare la mia esperienza, penso di sì.

Quindi mi sono informato, sul posto, delle possibili chance che avrei potuto avere negli States.

Al momento per me nessuna, ma anche per qualsiasi allenatore Europeo.

Non mi dite di Klismann, perché in quel caso è lampante quanto gli americani siano pragmatici e pratici.

C’era il mondiale e loro dovevano fare bella figura e vedere se, con dei risultati, il soccer avrebbe potuto attecchire anche in America e, quindi, diventare un affare.

A loro difatti oggi, non interessa avere squadre con una conoscenza tattica eccezionale, non interessa avere giocatori di fama mondiale e investirci tanti soldi (su 450 giocatori della MLS solo in 6/7 superano 1 milione di dollari, lordi, di ingaggio. Hanno un tetto salariale che è 250000 dollari e la media è di 200000 sempre lordi. Là le tasse le pagano tutti). L’investimento più importante, che varia dai 300 ai 400 milioni di dollari, riguarda le strutture.

Poi penseranno a organizzare meglio i campionati e, quindi, a investire sulle squadre.

Sono le persone che vanno allo stadio quelle che poi gli permetteranno di fare il business e, quindi, a quelle hanno pensato quando hanno deciso di investire.

Anche perché oggi, ed è statistico, sono più i giovani che giocano a calcio che quelli che praticano gli sport, diciamo nazionali.

In MLS (Major League Soccer) non ci sono retrocessioni e alla fine ci sono i play off per la vittoria del campionato.

Per fare questo campionato devi avere requisiti ben precisi e cioè: stadio, strutture adeguate e possibilità economiche per avere competitività nella massima serie con standard elevati e quindi nessuna squadra, per ora, ha ritenuto economicamente conveniente salire nella massima categoria.

Poi c’è la NASL (North American Soccer League) diciamo la nostra serie B, che ha parametri diversi ma che, in questo momento, si sta strutturando e fa parte della USL (United Soccer Leagues).

Nessuna squadra, per ora, ha il settore giovanile, perché i giocatori vengono reclutati dalle University e i College (che sono poi la stessa cosa) organizzati in campionati divisi per stati, visto le distanze enormi che ci sono.

Difficilmente un giocatore di queste squadre sale di categoria perché, o è veramente un fuoriclasse e quindi può guadagnare un buon ingaggio, altrimenti non gli conviene in quanto, loro, quando escono dall’Università hanno il posto assicurato e guadagnano di più che fare i professionisti nel calcio.

Ho descritto a grandi linee senza approfondire altrimenti sarei stato tedioso.

La conclusione è che, quando poi torni in Italia, non riesci a capire perché noi non si possa fare quello che negli altri paesi è normale.

Per costruire una cosa nuova (America) o ripartire dopo una crisi (Italia) mi viene spontaneo dedurre che ci vogliano gli stessi ingredienti, con una differenza sostanziale che nel nostro caso c’è una grande bagaglio d’esperienza.

La maggior parte dei tifosi calcistici italiani sono persone sensate e intelligenti.

Per queste persone bisogna avere il coraggio di fare delle scelte.

Basterebbe dire che si ha bisogno di 4/5 anni per rimettere tutto a posto, cominciando dalle strutture adatte per le esigenze di uno spettacolo più godibile, mettendo in secondo piano l’importanza del risultato sul campo.

Ma se noi pensiamo che la cosa più importante sia: moviola in campo sì, moviola in campo no, non ne usciremo mai, anzi..

Dei campionati Italiani o di altre cose che riguardano lo specifico ne parleremo più avanti perché ho visto solo l’ultima giornata e, quindi, non ho la conoscenza, né delle squadre, né dei nuovi giocatori e nemmeno dei sistemi di gioco adottati.

A presto.

Gigi Cagni


Calcio nelle vene

17 luglio 2014

Conte
Solo così si vince.
Regole, professionalità, carica agonistica e “uomini” giocatori di qualità.
Il tutto condiviso da una Società che crede nell’allenatore e nel suo modo di gestire i protagonisti, rispettando sempre le sue decisioni e aiutandolo, soprattutto, nei momenti delicati.
Ho vinto 3 campionati e sono andato in Uefa con l’Empoli sempre e solo perché le società facevano rispettare le mie regole e il mio modo di interpretare la professione anche contro lamentele fatte da giocatori importanti.
L’allenatore deve sentirsi integrato completamente nel gruppo, lo deve sentire fisicamente legato a lui e alle sue idee.
E’ una sensazione unica che ti riempie le vene quando sei a contatto con loro, hai l’adrenalina sempre in circolo e ti senti di poter fare qualsiasi tipo di battaglia.
Se hai queste sensazioni puoi fare questo lavoro ed essere vincente.
Quanti in Italia possono avere questo tipo di emozioni?
Pochi, secondo me, visto quello che sta accadendo negli ultimi anni , e quei pochi vinceranno sicuramente.
Ho sempre più la sensazione che la maggior parte dei presidenti, oltre che essere convinti di essere esperti di calcio, credano anche nella poca importanza di avere un allenatore preparato ed esperto.
Mi sembra che vadano a cercare più “signor sì” che uomini di personalità.
Pensano che l’allenatore debba, solo, allenare i giocatori messigli a disposizione, e questo potrebbe essere anche giusto vista la crisi, ma poi pretendono obbiettivi importanti.
Non capiscono l’importanza di fare sentire al proprio allenatore di essere al centro di un progetto.
I colleghi che, pur di lavorare, accettano situazioni precarie hanno perso in partenza.
Un mese fa sono stato contattato da una società a cui non ho chiesto per prima cosa l’ingaggio, ma che mi avrebbero dovuto prendere solo se avessero creduto in me e nel mio modo di lavorare.
Hanno fatto bene a sceglierne un altro, sperando lo abbiano fatto per il motivo di cui sopra e ,allora, potranno centrare l’obbiettivo.
Conte è stato “un grande” e sarà sempre un vincente.
La sua onestà professionale lo porterà ad avere sempre più successi e invidie.
La Juve ha agito, giustamente, con la propria linea ed ha capito il gesto corretto del suo ex allenatore dimostrando un rapporto di grande rispetto professionale.
Non smetterò mai di dire che “ognuno deve fare il proprio lavoro”, con i tuttologi vai a fondo.
Deve essere ripristinata la “gavetta” in tutti i campi e capire il valore del “tempo” e della progettazione.

Gigi Cagni


l’allenatore moderno

25 settembre 2013

Italy trainingLo spunto me lo ha dato la Gazzetta dello Sport del 24/9 in cui, a pag.6 – dove si parla delle Sorelle Scudetto -c’è una riga del sottotitolo che dice: “..E gli allenatori tornano a fare la differenza”.
Io aggiungo: Gli allenatori faranno sempre di più la differenza.
Ma perché questo accada bisogna che gli Allenatori abbiano la possibilità di poter lavorare, per dimostrare le proprie capacità, in un ambiente che gli permetta di metterle in evidenza.
Questo non può accadere se le squadre le fanno i Presidenti con 30 giocatori buttati lì senza un progetto e una logica tecnico-tattica, pensando già che, se dovesse andare male, si cambia allenatore.
C’è stato un cambiamento epocale, senza che nessuno se ne accorgesse, quando si è allungato il mercato rendendolo quasi permanente, la cui diretta conseguenza è stata il dover accettare i ricatti dei giocatori sui prolungamenti dei contratti.
Nessuno ha pensato che se le società non fossero state forti nel difendere il proprio allenatore, questo avrebbe avuto grossi problemi nella gestione dello spogliatoio.
Spogliatoio sempre più difficile da gestire nel momento in cui verranno a mancare i “vecchi leaders”, gli esempi da seguire (e quel tempo non è lontano).
Inevitabilmente il leader diventerà l’allenatore a cui spetterà, non soltanto la gestione tecnico-tattica, ma anche quella di collegamento e di unione delle personalità dello spogliatoio, compresa la comunicazione esterna.
Quindi, e qui mi rivolgo ai miei colleghi giovani, non abbiate fretta di arrivare alle categorie alte.
Non pensiate che, perché avete fatto i calciatori , sia tutto semplice quando si passa dall’altra parte.
Cercate esperienze di difficoltà graduali, bruciarsi è facile in un ambiente con pressioni così alte come quelle del calcio italiano.
Ripeto il concetto: cari Presidenti “la figura dell’allenatore deve essere rivalutata” e non può esserlo se alla fine dei campionati se ne cambiano più di 45, ciò va a discapito dello spettacolo.
Mai, come questo inizio di campionato, si sono viste partite così brutte sotto il profilo tecnico poiché si nota già, da parte degli allenatori, la ricerca del risultato a tutti i costi con il minimo rischio.
Il caso Giampaolo dimostra quanto sia difficile reggere a degli stress che non hanno niente a che fare con il campo, anche se il suo comportamento non è certamente da prendere da esempio perché, comunque, devi avere rispetto per chi ti ha ingaggiato.

Gigi Cagni


Spezia: un’altra sfida stimolante

3 aprile 2013

Gigi Cagni - Lo SpeziaDopo molto tempo torno a relazionarmi con i miei lettori.
So che avete, chiaramente, capito il motivo per cui non ho più trattato argomenti calcistici sul mio blog e vi sono grato per la pazienza.
Oggi mi sento di potervi rendere partecipi delle grandi emozioni che questa esperienza spezzina mi sta dando.
Spero, e penso, di essere riuscito a dare una quadratura a questa squadra, che ha dei valori anche importanti, ma che non era mai riuscita ad esprimere il massimo delle proprie potenzialità.
Non so ancora bene se riuscirà mai a dare sul campo tutta la sua qualità ma, ora, sono certo che avrà sempre le migliori intenzioni di farlo.
Subentrare in corsa non è mai uguale alle volte precedenti, al limite ci possono essere delle similitudini.
Non è la stessa cosa prendere una squadra a ottobre, a novembre o a febbraio, soprattutto se arrivi come terzo allenatore della stagione.
La cosa più difficile da stabilire è la strategia da fare in riferimento al pregresso ma, soprattutto, al numero di gare da disputare.
Stabilito con chiarezza l’obiettivo primario e, forse unico, devi scegliere il modo più giusto per raggiungerlo con i metodi più adatti, dati dalla tua esperienza, tenendo conto di molti fattori e sapendo che, la pazienza, non è contemplata.
Invece bisogna averne tanta e credere nelle proprie capacità di gestione in una situazione dove, certamente, il fattore emotivo è predominante.
Fatta questa premessa posso assicurarvi che sto lavorando in un ambiente adatto al mio modo di essere e di concepire questo lavoro.
Dove c’è passione e partecipazione emotiva alle sorti della squadra, io mi sento a mio agio.
So per certo che in ambienti come questo, se tu dimostri di dare tutto te stesso e fai trasparire la tua professionalità e competenza, potrai essere criticato come tecnico ma apprezzato come uomo.
Raggiungere la stima come persona dall’ambiente ma, soprattutto, dalla squadra è un fattore da cui non puoi prescindere.
Oggi penso di esserci riuscito, lo sento, sono un animale da campo, percepisco le vibrazioni del gruppo e so che difficilmente sbaglieranno la partita sotto il profilo della carica agonistica e dell’intensità fisica.
Dovranno gestire meglio la parte tecnico tattica senza farsi prendere dalla frenesia, la fretta è sempre una cattiva consigliera, sapendo che giochi in un ambiente dove l’errore tecnico viene accettato ma non quello comportamentale.
Comunque vada sarà un successo, ne sono certo.

Gigi Cagni


LA CONVINZIONE NELLA SCELTA

6 febbraio 2013

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Penso di essere stato uno dei pochi che, pubblicamente, ha criticato all’inizio del campionato la scelta dell’Inter su Stramaccioni.
Una critica non certamente all’allenatore Stramaccioni, che sicuramente ha delle qualità, ma all’azzardo della società di
prendere una decisione che poteva sembrare coraggiosa ma, secondo me, poco razionale e fatta di “pancia”.
Ho detto anche che se si è convinti di una scelta bisogna, però, sostenerla sino alla fine.
E qui mi permetto di giudicare questo momento della squadra milanese con l’occhio dell’allenatore esperto.
Nei momenti di difficoltà, che comunque sono fisiologici in un campionato difficile come il nostro, i dirigenti con in primis il Presidente, DEVONO in modo inequivocabile, sostenere l’operato dell’allenatore senza tentennamenti, facendogli sentire il loro appoggio incondizionato.
Sempre che si abbia veramente fiducia perché i giocatori questo lo sentono.
Oltretutto in un ambiente mediatico come il nostro in cui è di moda fare il toto allenatore nei momenti di risultati negativi.
A questo proposito vi racconto un episodio accadutomi il primo anno di Empoli.
Avevo preso la squadra in A a gennaio, dopo Somma, con il destino già segnato: quasi retrocessione matematica.
Nelle prime due gare (Juve a Torino e Parma in casa) 0 punti, però la squadra dava segnali positivi.
Comunque già si ipotizzava il ritorno dell’allenatore precedente, che pare ci mettesse del suo con qualche telefonata non proprio senza interessi con alcuni giocatori legati a lui.
Avevamo la doppia trasferta Cagliari e Lecce.
Nella prima gara, sconfitta clamorosa.
Nella programmazione della doppia trasferta c’era il trasferimento immediato a Lecce per un mini ritiro.
Il giorno dopo il nostro arrivo, faccio una riunione tecnica in cui avevo programmato uno sfogo di quelli che o svegliano il gruppo o lo uccidono definitivamente.
Sto per iniziare, quando si apre la porta e entra il direttore sportivo, Pino Vitale, che mi chiede se può dire due parole lui prima di me.
Dopo avere acconsentito, si è messo di fronte a tutti, guardandoli negli occhi, e ha detto con voce decisa e sincera:”Giovanotti, questo signore starà con noi fino alla fine anche se retrocederemo perché noi ci fidiamo di lui”, ed è uscito.
Io ho detto tutto quello che pensavo ma con ancor più convinzione ed enfasi.
Abbiamo vinto a Lecce e da lì è iniziata la nostra scalata verso la salvezza ottenuta con una giornata di anticipo.
Quando, all’inizio del campionato, dissi che “forse”il salto dalla primavera alla prima squadra (Inter e non una di fascia bassa) era un po’ azzardato, qualcuno mi ha detto che qualche dirigente si è offeso ed alcuni blogger mi hanno scritto che “forse”ero un po’ invidioso.
Amo tanto questo mestiere che tutto quello che faccio e dico vuole rappresentare, esclusivamente, un apporto alla sua crescita.
Mi hanno insegnato, fortunatamente, che i risultati si ottengono se l’ultima cosa a cui devi pensare è il tuo tornaconto, praticando uno sport di squadra.
E’ un principio che mi ha accompagnato per tutta la mia carriera professionale e che mi ha sempre dato grosse soddisfazioni.

Gigi Cagni


Nuova figura necessaria nel calcio moderno

29 gennaio 2013

alexBene, visto che gli errori difensivi madornali continuano ad accadere nei nostri campionati, penso sia venuto il momento di proporre un pensiero che mi frulla per la testa da qualche anno.
Secondo me deve nascere una nuova figura negli staff delle squadre di qualsiasi livello.
Mi sembra intuibile, visti gli ultimi argomenti, che è quello dell’allenatore specifico sia dei difensori che della tattica difensiva di reparto.
Voi direte: “C’è già l’allenatore in seconda che dovrebbe fare questo”.
Certo che c’è in quasi tutte le squadre, ma non in tutte è un difensore di esperienza, anzi..
Quindi credo sia necessario che ci si adegui alle esigenze tecnico-tattiche che i campionati mettono in evidenza.
Da quando esistono i campionati in Italia è statistico che vince, a parte qualche caso sporadico, chi prende meno gol.
Lo posso dire per esperienza personale visto che ho vinto tre campionati e ottenuto salvezze importanti in serie A mettendo in atto questo principio.
Tutte le volte che sono subentrato a campionato in corso, per riuscire a cambiare la tendenza, sono intervenuto immediatamente nella fase difensiva da parte di tutta la squadra per dare le prime certezze e sicurezze.
Psicologicamente prendere gol è devastante, a meno che tu non riesca sempre a farne di più (la cosa è abbastanza difficile e, comunque, non può durare nel tempo).
Capendo che in un calcio così stressante in cui un allenatore deve gestire 30 giocatori, trovare il tempo per allenare i singoli e i reparti, singolarmente, con continuità, sia difficile.
Sono sempre più convinto che sia assolutamente necessario introdurre la figura di cui ho detto sopra.
Per non essere frainteso e tacciato per difensivista, aggiungo che avrebbe anche il compito di allenare la tecnica individuale per l’inizio della COSTRUZIONE del gioco.
Lo dimostra il fatto che quando prendo in mano una squadra e parlo di tattica le prime volte, per la fase difensiva inizio dagli ATTACCANTI (non che debbano fare i difensori ma che sappiano come comportarsi quando hanno la palla gli avversari sì) e quella OFFENSIVA dai difensori (smarcarsi per il possesso, il sostegno e il lancio deve far parte del loro bagaglio tecnico).

Gigi Cagni


Fuori Gioco

16 giugno 2010

Ho la netta sensazione che anche quest’anno non troverò la squadra per l’inizio del campionato.
La cosa mi disturba molto perché non riesco a capire dove ho sbagliato e perché tutti i buoni risultati fatti in passato non mi permettono di trovare lavoro. Capisco che ci sono nuove generazioni di allenatori molto bravi e preparati ma, come in tutti i campi, penso che l’esperienza abbia ancora un suo valore.
Sicuramente l’errore che ho fatto in passato è stato di non essere molto diplomatico e poco incline alle pubbliche relazioni. Errori gravissimi per il sistema moderno, non solo calcistico. La conoscenza e i rapporti con le persone giuste aiutano senza dubbio.
L’essere intransigenti e magari un po’ troppo integralisti sull’etica, la professionalità e l’onestà intellettuale sono presi come difetti. Tutto questo fa parte della sfera non tecnica e quindi la mia è stata solo una disamina di quello che mi sembra di vedere in questo sistema ma, a dire la verità, non mi tocca più di tanto.
La  personalità e il carattere, che mi hanno aiutato a ottenere ottimi risultati, non si possono cambiare a 60 anni anche se è giusto modificarli per smussare quei difetti caratteriali che oggi non si possono più avere con una generazione totalmente diversa.
Ma la cosa che mi fa imbestialire è che si pensa che siamo vecchi tatticamente e nell’interpretazione del calcio moderno.
Chi mi conosce sa benissimo che se ho un pregio è quello di essere corretto e obiettivo nei giudizi.
Vedo calcio da 40 anni, ho allenato a tutte le latitudini e in tutte le situazioni ambientali, ho usato tutti i moduli esistenti (anche se con nomi diversi dagli attuali), ho sperimentato, con il mio preparatore, sistemi di allenamento all’avanguardia (15 anni fa mi dicevano che ero un pazzo perché allenavo più la forza della potenza aerobica ).
Nel 2000 alla Samp ho introdotto la Zona come sistema alimentare, ho vinto 3 campionati e sono andato in UEFA con l’Empoli. Nella mia carriera ventennale di tecnico  ho fatto esordire decine e decine di giovani promesse e devo sentirmi dire che sono vecchio calcisticamente e che non sono adatto al calcio moderno a differenza dei giovani allenatori che hanno una mentalità vincente e sono propensi allo spettacolo. Non posso accettare questa classificazione. Posso accettare di non allenare perché ci sono allenatori giovani che hanno dimostrato le loro capacità con risultati importanti facendo giocare le squadre in modo efficace e anche spettacolare, ma non posso sentirmi dire che non sono all’altezza di esprimere il gioco MODERNO perché ho idee antiche.
Forse chi giudica dovrebbe conoscere meglio il modo di allenare di noi vecchi allenatori.
Il possesso palla, le partitine a tema, l’insegnare la tecnica individuale e di gruppo, le tattiche,  sia difensive che offensive e l’importanza determinante della parte psico-fisica, la gestione dei giocatori e del campionato fanno parte del nostro bagaglio costruito in tanti anni di GAVETTA.
La domanda che mi frulla di più nella testa è:”Perché se non siamo adatti ora, nel momento in cui ci sono problemi grossi chiamano noi? Come mai siamo adatti a risolvere situazioni difficili e non siamo capaci ad iniziarne più facili?” Siamo il paese delle contraddizioni,su questo non ci sono dubbi.
Comunque l’età una cosa importante te la da, è la pazienza e la capacità di sapere riflettere e accettare i cambiamenti sapendo che, alla fine, la tua esperienza servirà.

Gigi Cagni