Allenare…….non è uno scherzo

17 giugno 2011

Venerdì 10 giugno sono andato a Vicenza chiamato dal direttore sportivo Cristallini, su richiesta del Presidente perché voleva conoscermi per valutare la mia candidatura.

E’stato un colloquio fra due persone della stessa generazione e che hanno parlato lo stesso linguaggio.

Mi ha detto subito che aveva incontrato, il giorno precedente, Silvio Baldini, che eravamo gli unici candidati per allenare la squadra e che, entro la domenica, mi avrebbero fatto sapere l’esito della scelta sia in un modo che nell’altro (così è avvenuto, dimostrando correttezza e rispetto delle regole).

Ho fatto questa premessa per introdurre un argomento molto attuale.

Una delle domande che mi ha posto il Presidente è stata: “Si è chiesto come mai sono 2 anni che non allena? Che risposta si è dato?”

Non ho avuto esitazioni perché questa domanda me la sono fatta centinaia di volte.

Ho probabilmente tanti difetti ma non quello di raccontarmi delle balle per giustificare i miei “insuccessi”.

Non l’ho mai fatto nella vita perché ho sempre ritenuto che essere intellettualmente onesti con se stessi, nella valutazione di quelle che sono le proprie azioni, anche se in certi momenti costa a livello psicologico, alla lunga paga e ti permette di crescere e sapere affrontare qualsiasi accadimento senza perdere l’autostima.

Comunque, tornando all’argomento, penso che siano cambiate tante cose in questi due anni.

Il numero di giovani allenatori, sicuramente di qualità e di buona prospettiva, è aumentato in modo preponderante.

Anche l’anno scorso se ne parlava, ed era venuta la moda, del GUARDIOLISMO ma nel campionato appena finito sono state cambiate tante panchine in A come non mai.

Quest’anno la cosa si sta ripetendo e mi piacerebbe sapere dai presidenti o da chi ne fa le veci i parametri delle scelte.

Lungi da me il fare questo discorso per invidia o per altri motivi se non per il fatto che la cosa, oltre che a riguardarmi, mi intriga per capire il motivo per cui nella società calcistica attuale non conti più il curriculum.

Sono per la modernità e per il progresso ma sono, anche, per la costruzione del proprio futuro passando attraverso le esperienze necessarie per raggiungere le competenze necessarie per affrontare qualsiasi difficoltà ti si presenti.

Mi hanno sempre detto di fare i GRADINI uno alla volta perché a ogni gradino consolidi quello precedente e se, all’inizio, cadi non sei tanto alto da farti male.

Se, invece, hai la frenesia di farne due alla volta e ti succede qualche cosa, cadi da molto più alto, ti fai più male e fai più fatica a rialzarti.

Così ho fatto e devo dire che mi è servito molto perché mi permette di avere, oggi, la sicurezza nell’affrontare qualsiasi situazione sia in campo che fuori.

E’una riflessione che faccio ad alta voce e mi rivolgo a tutti questi giovani allenatori.

Questo è un mestiere difficile, dove non c’è niente di scontato.

Non si finisce mai di imparare e la differenza tra le categorie è immensa, soprattutto dalla B alla A.

La preparazione della partita è la cosa più facile mentre la GESTIONE sia del gruppo che di tutto l’ambiente esterno (dirigenti, media e pubblico) è piena di insidie.

Per affrontare l’organizzazione del campionato nel modo più adeguato e costruire qualche cosa di solido e duraturo, devi avere tutte le conoscenze specifiche per risolvere tutti i problemi, non solo tecnici, che QUOTIDIANAMENTE ti si presentano.

Mi permetto di dare un consiglio a tutti questi giovani allenatori che vedremo nei nostri prossimi campionati: ”Ponderate bene le vostre scelte andando in Società che vi diano garanzie di credere in voi e quindi di difendervi nei momenti critici”.

Purtroppo ho il sospetto che i motivi per cui, molti Presidenti, affideranno le loro squadre ad allenatori meno esperti sarà solo perché costano meno e accettano qualsiasi organico gli venga messo a disposizione.

La speranza, invece, è che questa tendenza sia figlia di mentalità progressista e convinzioni solide di progetti lungimiranti (l’ho scritta di getto ma nel rileggerla mi sembra un po’ ironica, mah!)

In bocca al lupo.

Gigi Cagni


A testa alta

22 Maggio 2011

Penso che retrocedere sia una delle esperienze più brutte che si possano provare nell’ambito calcistico e non solo.
La parola retrocessione è sinonimo di incapacità di realizzare un qualsiasi obiettivo che ti sei prefissato. Nel retrocedere non puoi salvare niente di quello che hai fatto durante l’anno perché quello che conta è il risultato finale e quindi, se non ci sei riuscito, ti rimane solo una brutta esperienza che ti resterà appiccicata e indelebile per sempre. Naturalmente questo è il pensiero della maggior parte degli addetti ai lavori e dei tifosi.
Nel 94, a Piacenza, arrivammo all’ultima partita a pari punti con la Reggiana. Noi dovevamo giocare a Parma e loro a Milano contro il Milan. Il Parma, però, doveva disputare la semifinale o la finale, non ricordo bene, di coppa la settimana seguente e quindi ci chiese di anticipare al venerdì la gara. Era un rischio grosso perché se avessimo accettato avremmo dato un grosso vantaggio ai nostri concorrenti per la retrocessione.
Noi stavamo benissimo fisicamente ed ero sicuro che se avessimo disputato lo spareggio lo avremmo vinto, e questo lo sapevano anche loro. Cosa fare? Alla fine decidemmo di concedere l’anticipo perché IL CALCIO, attraverso i media nazionali, aveva lasciato intendere che i risultati delle due gare sarebbero stati uguali e quindi si sarebbe andati allo spareggio, o quantomeno questa fu la nostra interpretazione perché TUTTI lo davano per scontato.
Pareggiammo a Parma e la domenica andai a S.Siro a vedere la partita. A venti minuti dalla fine la Reggiana fece gol e vinse 1 a 0.
Noi retrocedemmo immeritatamente per essere stati sportivamente corretti, la Reggiana no.
Io ero uscito dallo stadio qualche minuto prima e ascoltavo le fasi finali dell’incontro alla radio. Quando Sandro Ciotti disse “la partita è finita, la Reggiana si salva e il Piacenza retrocede” mi crollò il mondo addosso.
Avrei voluto fare dichiarazioni al veleno per il TRADIMENTO SPORTIVO che si era realizzato alle nostre spalle ma, in quel momento, mi arrivò la telefonata del mio Presidente, l’Ing. Garilli, che mi disse di non fare dichiarazioni, che avrebbe mantenuto la stessa squadra inserendo anche Inzaghi di ritorno dal Verona e che saremmo tornati in A.
Quelle parole mi fecero trasformare la rabbia in carica positiva con la convinzione che quello che aveva detto il Presidente si sarebbe realizzato.
Mai pensai che il Milan si fosse “venduto” la partita ma che la Reggiana avesse approfittato della situazione in modo, secondo me, antisportivo, però a volte si pagano le scorrettezze (per dovere di cronaca la squadra emiliana in tre anni passò dalla A alla C1 con tre retrocessioni consecutive e noi tornammo in A subito).
Ho parlato di questo argomento per due motivi. Il primo è che devi accettare sempre il risultato sportivo, comprenderne la realizzazione senza colpevolizzare fattori esterni per giustificare l’insuccesso e quindi usufruirne per crescere.
Il secondo è che piangersi addosso non porta certo a ricuperare gli errori.
Viviamo in un Paese dove gli insuccessi sportivi, specialmente quelli calcistici, sono vissuti come se si trattasse di una questione di vita o morte, quando, invece, bisognerebbe accettarli e vivere lo sport per la sua essenza e insegnamento di vita.
Non sono così sprovveduto per non sapere che sono gli INTERESSI economici a esasperare la situazione, ma è proprio da lì che si deve iniziare il cambiamento.
Non dico che tutti gli introiti devono essere distribuiti in parti eguali ma permettere a tutti di recuperare un risultato sportivo negativo sì.
Premiare i bacini che dimostrano di volere realizzare progetti nell’interesse comune e non solo proprio, porterebbe l’opinione pubblica e quindi i tifosi ad avere una cultura diversa da quella del RISULTATO fine a se stesso.

Gigi Cagni


E’ una questione di priorità

6 Maggio 2011

Penso che la partita di ritorno, anche se la maggior parte di voi che hanno fatto il commento non sono d’accordo, sia stata la prova che quello che ho scritto nel precedente post poteva essere la soluzione più giusta. Se il Real avesse giocato anche all’andata con la stessa tattica del ritorno, avrebbe perso con ancora più gol di scarto. Non dovete guardare il risultato di 1 a 1 ma quello che avrebbe potuto essere se quelli del barcellona avessero realizzato tutte le occasioni che hanno avuto. Non ho certamente mai pensato che la rosa del Real fosse inferiore a quella dei catalani ma provate a chiedervi perché il Varese ed il Novara sono già nei play-off mentre Torino, Livorno, Padova e Reggina sono ancora in lotta. La risposta è semplice e sta nella possibilità di avere lo stesso gruppo di base per più anni, e Pep qualcuno di questi giocatori li aveva già nella seconda squadra del Barca prima di prendere la prima. Essere umili e conoscere i propri limiti nel momento in cui devi affrontare un avversario più organizzato e rodato, non è un segno di debolezza o paura ma di intelligenza. Analizzando la partita di ritorno si è evidenziato che negli spazi ampi i giocatori del Barcellona si esaltano e riescono ad esprimere al meglio le loro qualità. In più hanno Messi che crea sempre la superiorità numerica e quando affronti una squadra con un giocatore così non puoi permetterti di fare l’1 contro 1 ma devi proteggere sempre nella sua zona di azione che, oltretutto, non è mai la stessa. Se copri da una parte scopri dall’altra. Ribadisco, e ne sono ancora più convinto che la prima strategia di Mou era la migliore, alla luce di quello che si è visto nelle due gare. Sono anche, in disaccordo con molti di voi sulla tattica dello Shalke 04 nelle due partite di semifinale. Se non avessero avuto uno dei portieri più forti Europei ci sarebbero state due goleade che avrebbero sì messo in evidenza il CORAGGIO DEL PROFESSORE, ma fatto fare una figuraccia alla squadra ed ai suoi componenti. Ribadisco, il concetto è che devi scegliere fra la tua vanità e l’interesse della squadra e dei tuoi giocatori. C’è sempre la possibilità di fare vedere le proprie doti ma bisogna avere la capacità di scegliere i momenti opportuni.

Gigi Cagni


Alla mostra del Piace

29 aprile 2011


30 anni ad inseguire un pallone

28 marzo 2011

In questo ultimo periodo ci sono molte persone, ventenni ma anche quarantenni,  che mi chiedono:  ”Come erano gli anni sessanta e settanta ?” Poi Marco mi ha chiesto di parlare del periodo della Sambenedettese.  Immediatamente mi sono passati nella mente 30 anni della mia vita.

Non preoccupatevi ,  non ve li racconterò tutti ma solo alcuni pezzi  importanti e significativi.  Non ho fatto mai un compito scolastico a casa nella mia vita, non ero tagliato per lo studio, e poi si è visto..(non fatelo, a quei tempi era possibile perché anche le condizioni erano diverse, e riuscire nella vita era comunque possibile perché c’era tutto da costruire e le opportunità erano molte) perché in prima ragioneria non avevo la sufficienza nemmeno in condotta. L’unica passione era il pallone. Sempre a giocare, nei vicoli del centro storico o all’oratorio.

A 14 anni sono andato a lavorare (da quell’età fino ai 17 ne ho cambiati di lavori per poi finire in fabbrica) ma, nello stesso periodo, ero stato preso nel settore giovanile del Brescia. Alla domenica  sveglia presto e a VEDERE la partita, perché c’era solo il DODICESIMO in panchina e quindi, o eri titolare o andavi in tribuna. Ero il più giovane della Juniores e quindi ho fatto un anno intero, solo ad allenarmi, e soffrire, ma  ad imparare tanto (gli allenatori erano MAESTRI e i nostri genitori non interferivano mai nelle loro decisioni).

Qualche pomeriggio, lavorando, non potevo partecipare agli allenamenti,  ed uno di questi maestri (Gigi  Messora) che credeva in me,  veniva appositamente alla sera nell’oratorio del mio quartiere ad allenarmi.

A 15 anni diventai titolare e feci tutta  la trafila fino alla primavera (nel frattempo i giocatori in lista passarono a 13, poi 14, fino ai 18 di oggi). Guadagnavo bene a fare l’operaio e la mia famiglia ne aveva bisogno, ma un giorno mi si prospettò di fare il professionista, la decisione comportava, però, il dover consegnare le dimissioni al lavoro. L’istinto e la passione vinsero sull’arrabbiatura di mia madre, che voleva il posto sicuro. Iniziai la mia carriera calcistica.

Giocare per  14 anni con la maglia della squadra della mia città è stata una delle emozioni più belle della mia vita. Se poi penso che, nei primi anni settanta ci fu un periodo in cui 7/11 erano bresciani e in campo si parlava dialetto, mi viene la pelle d’oca.

Ma le favole nella vita non esistono.

A 28 anni discopatia S1-L5, problemi alle gambe per infiammazione dello sciatico,il medico disse in società che ero finito (a quei tempi l’età media di durata dell’attività era 31 anni, un po’di più per chi giocava libero, e  le conoscenze terapeutiche erano limitate all’operazione chirurgica).  Il proprietario del cartellino era la società e quindi a novembre del 78 venni VENDUTO alla Sambenedettese, senza poter rifiutare anche perché un dirigente mi disse:  ”Se non vai ti faccio smettere”.

Avevo fatto i primi due anni da professionista firmando il contratto in bianco: era troppa la gioia di portare quella maglia. Avevo fatto gare con la febbre o con infiltrazioni anti dolorifiche perché “AVEVANO BISOGNO DI ME”.  Quello era il ringraziamento.

La rabbia e l’orgoglio mi fecero da sprone per pensare che avrei smentito la loro sfiducia e previsione.

San Benedetto del Tronto: non sapevo nemmeno dove fosse, pensavo di andare al SUD.  Lì ho poi vissuto altri 9 anni fra i più belli della mia vita. Lo stadio era vicino al mare, piccolo e raccolto, niente pista e le linee erano al limite delle misure regolamentari di distanza dai muri degli spalti. Il tifo calorosissimo e assordante.

Nelle partite importanti e, soprattutto, nel derby con l’Ascoli, pieno all’inverosimile.  Era un grosso vantaggio giocare in casa. Sono sempre stato un giocatore di grinta e agonismo, lì ho portato all’ennesima potenza la mia carica e, dopo i primi anni, sono diventato il capitano e l’emblema di quella squadra fino all’87 quando tornai a casa. I primi due anni non sono stati facilissimi perché nel primo ci siamo salvati alla fine e nel secondo siamo retrocessi. Avrebbe potuto essere la fine di tutto e invece fu l’inizio, per me, di una nuova vita.

A 30 anni in C1 a San Benedetto non aveva senso. Come ho detto all’inizio, giocando terzino sx, non avrei avuto ancora molti anni di carriera davanti a me e quindi la C1 mi conveniva farla vicino a casa e prepararmi il futuro. Come dico sempre” la fortuna passa per tutti”, la bravura sta nell’essere pronti a coglierla. Dico questo perché quando andai in sede per ritirare gli assegni (come sempre posdatati ottobre-novembre-dicembre) degli ultimi tre mesi di stipendio, ebbi la FORTUNA di avere un colloquio con Nedo Sonetti, futuro allenatore della della Samb. Mi chiamò nel suo ufficio e mi propose di rimanere perché riteneva fossi l’uomo giusto, per esperienza e carisma, come guida di una squadra che doveva vincere il campionato e tornare in B immediatamente.  Usò tutti i mezzi di persuasione ma senza risultato finchè, mentre stavo per  uscire dall’ufficio, disse la frase più geniale e convincente si potesse dire in quel momento: “E se giocassi LIBERO?”. Rimasi fulminato, mi si accese la lampadina e mi passarono davanti tutti gli anni futuri in quel ruolo. Mi fermai, mi girai e dissi “PARLIAMONE”. Iniziò per me una nuova carriera calcistica piena di soddisfazioni che mi forgiò, soprattutto, come uomo. Iniziò, anche, la mia nuova  mansione calcistica e cioè quella di ALLENATORE in campo.  Sette  anni splendidi, pieni di soddisfazioni (vincemmo subito il campionato di C1 ,tornammo in B e ci rimanemmo finché non venni via nell’87)ed esperienze da leader che mi sono servite per intraprendere, con più sicurezza ,quello che sarebbe poi diventato il mio lavoro di allenatore. Oggi capisco anche il perché ogni Mister che veniva alla Sambenedettese , pretendeva la mia riconferma, anche quando avevo 36 anni. Troppo importante avere il leader e l’allenatore in campo. Oltre a quello ho fatto LA CHIOCCIA  a decine di giovani giocatori. Il loro complimento più grande è stato, rivisti in seguito a carriere brillanti,che li avevo aiutati a crescere più come UOMINI che calciatori. L’ambiente era ideale perché molto familiare e ristretto, ma con pressioni costanti e grande passione da parte dei tifosi. L’importante era dimostrare il proprio attaccamento alla squadra e alla maglia, si doveva uscire dal campo avendo dato tutto. Se avevi fatto questo nessuno ti rimproverava niente. Niente personalismi, la maglia e i tifosi andavano rispettati con il tuo comportamento in campo e cioè carica agonistica e grinta per i colori ROSSO-BLU. Questi principi varrebbero ancora oggi ma il SISTEMA è così cambiato che è molto difficile trovare sia i leaders che le BANDIERE. Una cosa è certa, io mi reputo fortunato per avere vissuto in un periodo così pieno di avvenimenti ed esperienze che mi hanno fatto crescere giorno dopo giorno senza rimpianti e, soprattutto, senza mai essermi mai ANNOIATO.

Gigi Cagni


MOMENTI INDIMENTICABILI

5 marzo 2011

Prendo lo spunto da quello che mi ha scritto Christian sul blog per raccontare una delle mie più belle giornate da allenatore.
Ero stato ingaggiato dal Piacenza in serie C1 nel 1990, dopo avere fatto un anno in C2 nella Centese. Avrei avuto la possibilità di andare in B sia con il Monza che con il Como ma, NON AVENDO IL PATENTINO DI PRIMA CATEGORIA, mi sembrò giusto e corretto andare nella categoria giusta per la mia qualifica. L’altra cosa importantissima fu che venni contattato dal direttore sportivo Giampiero Marchetti, ex giocatore di Atalanta e Juve, bresciano come me, con cui ebbi immediatamente la sensazione che si parlasse lo stesso linguaggio calcistico. La cosa venne avvalorata quando, in seguito, conobbi sia il vice presidente Rag. Quartini che il presidente ing.Garilli. Uomini di una generazione fatta di lavoro e onestà intellettuale, con dei principi basilari per permettere all’allenatore di dare l meglio di sé. Era chiaro che volevano VINCERE, ma sapevano anche che perché accadesse dovevano darmi tutti gli strumenti per farlo. Carta bianca, prima di tutto, ma anche la responsabilità del dovere raggiungere l’obiettivo con i mezzi da me scelti e il tempo GIUSTO per poterlo raggiungere. Quindi iniziai dalla C1 con un organico molto forte (Occhipinti, Braghin, Cappellini, Cornacchini, Piovani ecc… alcuni dei più forti ma gli altri erano allo stesso livello).

Le promozioni erano solo due e il campionato era molto difficile. Puntai, per prima cosa, sull’aspetto fisico, sempre per il principio che, per me, se un giocatore è nella migliore condizione psico-fisica, rende al massimo in quella tecnico tattica.
Quindi CULO MOSTRUOSO in ritiro. 4 settimane in Val Seriana, erano distrutti, ma io soddisfatto perché avevo capito di avere un gruppo che sapeva sopportare grossi sacrifici (alla terza settimana, sentiti gli umori, dissi che chi voleva poteva andare a casa per 2 giorni o fare venire le mogli o le fidanzate a trovarli in ritiro. Dopo una breve riunione venne il capitano e mi informò che TUTTI volevano rimanere perché credevano a quello che gli avevo detto e cioè che da quel sacrificio si potevano costruire le vittorie. Da lì capii di avere un gruppo vincente).
Impostai il campionato sulla fase difensiva perché c’è un principio che vale tuttora, e varrà sempre, e cioè se devi vincere a tutti i costi e hai appena iniziato la tua avventura in quel club, devi dare delle certezze di RISULTATO per far accrescere ai giocatori la fiducia nei propri mezzi, ed è statistico che vince chi subisce meno gol. Oltretutto avevo visto di possedere una squadra con delle qualità offensive che mi davano la serenità e che prima o dopo il gol noi lo avremmo fatto. Così fu e quindi, l’anno dopo in B, iniziai la mia costruzione non soltanto del risultato, anche se era determinante la salvezza mai raggiunta dal Piacenza negli anni precedenti, ma anche di dare il gioco che, secondo me, poteva dare risultato e piacere per noi e per chi ci seguiva. Non fu facile, ci salvammo alla fine per le qualità della squadra sia tecniche che professionali e morali (non è mai l’allenatore che vince ma i giocatori, l’allenatore deve essere bravo a farli rendere al massimo).
E da qui iniziò il GODIMENTO. Quasi la stessa squadra per il terzo anno, integrandola con elementi di sicuro affidamento sia tecnico che psico-fisico per le mie esigenze, per il mio AMATO 4-3-3. Ero ossessivo in ogni allenamento, pretendevo sempre il massimo sotto tutti gli aspetti, ero passionale perché LORO mi accendevano questa passione. Gli schemi che vi ho illustrato nel blog erano la base del nostro gioco sia difensivo che offensivo (ho sempre avuto il capo cannoniere del campionato, anche se mi avevano messo l’etichetta di difensivista) e si realizzava sempre meglio perché, con il loro aiuto, veniva modificato in ogni allenamento o partita.
Nelle gare ufficiali ero sempre in piedi e non sempre avevo espressioni da Lord Inglese, ma mi conoscevano e sopportavano perché sapevano che qualsiasi cosa dicessi era per il bene della squadra. Ero ossessivo per il gioco offensivo, li avevo convinti, con i fatti naturalmente, che quegli schemi erano efficaci sempre e contro chiunque. In tutti gli allenamenti c’erano sempre partitine a 1 tocco o tre tocchi massimo.

Volevo la pressione costante sull’avversario e cross, cross e ancora cross, costruiti sulla base dei nostri schemi (dico nostri perché le varianti si erano aggiunte volta per volta con il loro apporto, e poi provate e riprovate finchè non eravamo certi che fossero producenti ).
Credevano in me e io in loro.
Veniamo ora al fatto di cui ho accennato all’inizio e che mi ha dato lo spunto per raccontarvi un po’ delle mie esperienze all’inizio della mia avventura calcistica.
Cesena – Piacenza, campo splendido, clima giusto, squadra avversaria forte ma che prediligeva il gioco. Iniziata la partita ho capito subito che sarebbe stata la giornata ideale. Lo avevo già intuito nello spogliatoio (questa è una sensazione che sento molte volte e che spiego con una frase significativa ”SENTO I MUSCOLI” è proprio una sensazione fisica di TONICITA’ che avverto nello spogliatoio quando rientrano dal riscaldamento pregara )
Non ho parlato per tutta la partita, giocavano a memoria, gli schemi venivano come se fossimo in allenamento senza avversario. Nelle due fasi erano perfetti sia tatticamente che tecnicamente, corti e uniti sempre, mai una sbavatura e gli errori non si vedevano perché c’era immediatamente un compagno che sopperiva e non li rendeva evidenti.

Unico problema fu che De Vitis (uno dei più forti centravanti che abbia allenato) non inquadrava la porta. Vi posso dire che la cosa non mi interessava, giocavano troppo bene e il risultato era relativo in quel momento, GODEVO TROPPO, seconde me anche se non avessimo vinto sapevo che quella sarebbe stata la partita che mi avrebbe dato ancora più certezze per quello che era il mio credo calcistico. Per la cronaca vincemmo 1 a 0 con gol di Papais, con un tiro da 25m a pochi minuti dalla fine. Vi posso assicurare che una gara di quel tipo ti può sollevare da ogni delusione che questo lavoro ti può dare.

Ancora oggi, quando rivedo qualche giocatore di quei tempi, lo ringrazio per avermi permesso di esprimere le mie convinzioni al meglio. Non si può non amare questo mestiere.

Gigi Cagni


Siamo al giro di boa……

27 dicembre 2010

Siamo quasi alla fine del girone di andata di Campionati che non hanno
sicuramente brillato per qualità e spettacolarità,anzi.
Contrariamente alle previsioni di molti “ESPERTI” non c’è stata la solita falcidia di allenatori.
Premesso che questo è avvenuto, probabilmente, per mancanza di soldi e quindi i Presidenti hanno preferito pagarne uno solo, sperando che le cose potessero cambiare naturalmente, vedrete che appena si avvicinerà la fine e avranno il timore di non raggiungere l’obiettivo, ci saranno grossi cambiamenti.
Tutta questa premessa l’ho fatta per accentuare il problema più grave, secondo me, che non permette al nostro calcio di adeguarsi al livello Europeo, e cioè la mancanza di PROGRAMMAZIONE e RISTRUTTURAZIONE delle componenti essenziali del CARROZZONE CALCIO.
Non puoi pretendere di dare uno spettacolo degno di questo nome con degli stadi che non si vedono nemmeno più nei paesi dell’Est.
Non si capisce come mai ci siano un numero notevole di imprenditori che vorrebbero costruirne di moderni, con tutti i confort, e quindi investire anche sulla squadra, ma non gli viene permesso per motivi di cui è difficile capirne la ragione.
Verrà pure da noi il momento in cui qualcuno riuscirà a permettere l’attuazione di una ristrutturazione adeguata per il rilancio di un calcio moderno che possa fare tornare la gente allo stadio, comprese le famiglie.
 Abbiamo tutti gli strumenti e le potenzialità ma, come al solito, nessuno ha il coraggio di fare cose, anche impopolari, per lo sviluppo di questo settore che, oltretutto, è fra i primi 10 in Italia per produttività.
Il tutto non può non influire sulla qualità dello spettacolo calcistico.
I settori giovanili dovrebbero essere la nostra risorsa ma senza investimenti adeguati la cosa diventa difficile.
E’ chiaro che si preferisce andare a prendere giovani giocatori stranieri perché costano meno, e quindi, risparmiare sull’assunzione di allenatori professionisti che graverebbero in modo inadeguato sul bilancio.
Abbiamo l’ Università del calcio e gli allenatori più preparati ma non siamo capaci a sfruttarne le potenzialità.
Tornando ai nostri campionati, la mia impressione è stata che, già nel girone di andata, si sia pensato più al risultato che al gioco e quindi ne ha risentito lo spettacolo.
Troppa paura dell’esonero da parte degli allenatori,troppa importanza ECONOMICA la sconfitta sul campo.
Non può essere di importanza vitale una retrocessione o il non raggiungimento di un obiettivo.
Tatticamente c’è stata questa esplosione del rombo che, in molti casi, non aveva ragione di essere scelta perché non c’erano i giocatori adatti per attuarlo.
Ho visto cercare di trasformare giocatori che, di solito, o erano seconde punte o esterni offensivi,in ½ punte, con dei risultati improponibili.
Non so per quale motivo noi allenatori, alle volte, cerchiamo di emulare nostri colleghi che ottengono ottimi risultati con tattiche un po’ diverse dalla norma,senza avere giocatori adatti per praticarle.
Continua ad essere, per me e per certi miei lettori, inspiegabile il modo in cui vengono subite delle reti con errori che dimostrano la non conoscenza delle basi della specificità del ruolo.
Forse perché si sta esagerando nella maniacalità della parte tattica e fisica piuttosto di quella tecnica?
Come dico sempre, se tutto funzionasse come
dovrebbe, questo lavoro andrebbe fatto nei settori giovanili con allenatori preparati a farlo, e non da quelli della prima squadra.
Lo dico da anni, il mio sogno sarebbe fare come nel calcio americano e cioè: la preparazione fisica responsabilità individuale del giocatore (con quello che guadagnano), quella tecnica specifica dal trainer e, infine, quella tattica dall’allenatore in prima che  perciò diventerebbe come il COACH americano.
Non voglio fare come quelli che criticano e basta, senza proporre niente, solo per il gusto di criticare il sistema.
Quindi, siccome penso che la filosofia di un passo alla volta paghi, secondo me la costruzione di stadi di proprietà è la cosa necessaria e primaria per poi, di conseguenza, arrivare alla soluzione di tutte le altre problematiche. Buon anno a tutti.

Gigi Cagni


Prime impressioni

2 ottobre 2010

Ai lettori del mio blog avevo promesso di parlare di tattica dopo un numero sufficiente di partite disputate sia di A che di B e di fare delle considerazioni generali sugli avvenimenti.
Dopo queste prime gare, sia dei campionati che delle Coppe, il dato che più è venuto in risalto è che NESSUNA grande squadra è in forma psico-fisica perché ha troppi giocatori fuori condizione, la maggior parte dei quali giunti dal POSTMONDIALE.
Quindi parlare di tattica diventa difficile perché se non sei al massimo della condizione fisica, non puoi rendere al meglio in quella tecnico-tattica.
Lo dimostra il fatto che in A ci siano, sia le neo promosse che le provinciali, con classifica insperata.
In B, come sempre, i pronostici sono disattesi, infatti, tolto il Siena, le
altre stanno facendo un po’ fatica perché il DOVERE VINCERE è diverso dal
vincere.
Anche di questo, nella costruzione della squadra, si dovrebbe tenere
conto. Più giocatori che HANNO VINTO hai in squadra, e più sarà probabile che tu ci riesca. Tenendo presente anche che, con 42 partite a disposizione e con un livello tecnico generale abbastanza livellato, il campionato inizia nel girone di ritorno e determinanti saranno sia la condizione psico-fisica che l’ equilibrio tattico, cosa che ti permette di avere la continuità di risultati(determinante in B).
Siamo all’inizio e già due panchine sono saltate, una in A,al Bologna, e una in B, al Grosseto.
Nessuno ci fa più caso, anzi diventa motivo di argomentazione post-gare il toto allenatore, e a questo bisogna adeguarsi. Un dato tattico comunque c’è, il rombo sta diventando una moda.
Ho sempre pensato che la ½ punta è un attaccante non completo o un c.c. di difficile collocazione e quindi, chi ha queste caratteristiche, o lo metti esterno per creare la superiorità numerica, oppure dietro la punta o le due punte.
Ho detto MODA,perché mi sembra che ci sia una tendenza esagerata di giocare con il rombo da parte di molte squadre anche se, secondo me, non hanno tutte le componenti tecnico-tattiche per farlo.
Questa è una mia opinione ISTINTIVA, in questo campo mi lascio frequentemente trasportare dall’istinto perché 40 anni di calcio me
lo permettono, perciò potrà essere smentita dai fatti, e ne sarei felice perché è un sistema di gioco che diverte e fa spettacolo.
L’assestamento dei campionati si vedrà fra 2 mesi quando tutto si sarà riequilibrato. Quello che non credo cambierà, è vedere squilibri difensivi ed errori di madornale entità, in questa fase, sia da parte dei singoli che della squadra.
Se si parla di squadra ci può essere la scusante della non perfetta condizione ma se entriamo in merito all’errore del singolo devo constatare che, la maggior parte dei difensori e dei c.c., non conoscono i principi basilari della marcatura e del contrasto.
Lo sto ripetendo alla noia, nei settori giovanili mettete dei MAESTRI
di tecnica e comportamento per fare crescere al meglio difensori di qualità. La tattica e il SAPERE COSTRUIRE IL GIOCO vengono dopo, il difensore per prima cosa DEVE SAPERE DIFENDERE. Capisco che per il giocatore o per il GENITORE può sembrare riduttivo, ma è la strada giusta per riuscire ad emergere e fare una carriera brillante e di soddisfazione.
Penso di avere messo in evidenza le poche cose che mi hanno colpito in questo momento, ma siamo solo all’inizio..

Gigi Cagni


Largo ai Giovani

9 agosto 2010

Sono tornato in Italia dopo avere trascorso 15gg in Sri Lanka.
Ho fatto il turista viaggiatore cambiando 13 alberghi e facendo 2200 km su strade un po’ asfaltate e un po’no. Ho visitato un Paese che, dopo la guerra vinta contro i Tamil, sprizza voglia di crescita e di sviluppo. E´ un paese giovane ed in continuo fermento.Lo stato sta puntando su infrastrutture per il turismo e sulla scolarizzazione delle nuove generazioni per mettere a disposizione della nazione dirigenti preparati e utili per lo sviluppo futuro. Sanno che ci vorrà del tempo ma ci credono e quindi sono consapevoli che la riuscita del progetto non sarà facile.
Ogni grande cambiamento ha bisogno di programmazione e pazienza, soprattutto nei momenti di difficoltà. Sono certo che fra qualche anno si parlerà molto di questo piccolo stato dell’Asia.
Sbarcato nel mio Paese ho ricominciato a leggere i quotidiani sportivi e con grande piacere ho visto che l´argomento primario era la necessità di valorizzare i settori giovanili per contenere i costi e dare spazio ai giovani talenti Italiani.
Baggio presidente del settore tecnico con Sacchi responsabile delle squadre nazionali giovanili, la Rai che abolisce la moviola e la sostituisce con argomentazioni tattiche.
Tutti i giornalisti a dare risalto alla necessità di questo cambiamento, unica strada per salvare il nostro calcio.
Mi sono detto “guarda che questa volta veramente riusciremo ad intraprendere il percorso giusto per dare la svolta decisiva ad una situazione, secondo me, insostenibile” poi però ho pensato all´anno scorso quando, nello stesso periodo, l´argomento era che, per dare freschezza al nostro campionato, bisognasse seguire l´esempio del Barcellona che aveva dato la squadra a Guardiola allenatore giovane e vincente.
Quindi tutti ad ingaggiare tecnici giovani ed emergenti con la speranza di emulare l´allenatore spagnolo.
Risultato finale 25 esoneri fra A e B , evento mai avvenuto negli anni precedenti.
Forse tutto questo dovrebbe farci riflettere per cercare di non commettere lo stesso errore in riferimento a come ci dobbiamo porre nei confronti di cambiamenti necessari per il bene comune. Per 8 anni, nella Sambenedettese, ho fatto la CHIOCCIA a decine di giovani che venivano mandati nella mia squadra “a farsi le ossa”. Noi anziani dovevamo proteggerli, soprattutto, nei momenti difficili. Anche per noi il risultato era importante e quindi dovevamo essere bravi a gestire le qualità di questi giovani calciatori cercando di non farli bruciare.
Il che comportava mettergli l’ombrello nei momenti in cui venivano criticati e attaccati dai media per prestazioni non buone. Noi sapevamo che ci voleva pazienza, l´esperienza ha bisogno di tempo e di errori per migliorarci, con la fretta non costruisci niente di solido.
E´chiaro che bisogna anche sapere cosa fare, perché riempire le cronache di paroloni e poi non agire con il giusto criterio ma, soprattutto, la dovuta conoscenza dell´argomento, non servirebbe a niente.
Mi permetto di dare qualche consiglio.
Cari Presidenti pagate meglio gli allenatori del settore giovanile assumendone i più preparati e non i meno costosi. Date delle regole di professionalità e di comportamento quando sono molto giovani oltre a non esagerare con ingaggi assurdi a giovani talenti.
Tutto deve essere proporzionato non soltanto al valore di mercato ma anche all´età del giocatore (a questo dovrebbe pensarci la Federazione mettendo un tetto salariale aggiungendo premi a rendimento, altrimenti non si riuscirà a fermare l´entrata nei nostri club di giovani stranieri che costano molto meno e hanno più fame).
Cari media che in questo momento vedete la scelta dei giovani come soluzione più giusta,dovrete essere coerenti con questa tesi anche quando la squadra andrà male,perché ai giovani bisogna dare tempo, senza chiedere la testa dell´allenatore in mancanza di risultati. Non facciamoli diventare FENOMENI dopo qualche partita di buon livello per poi MASSACRARLI quando calano il rendimento.
Non proteggiamoli quando hanno comportamenti non professionali e non consoni al loro ruolo, devono capire che sono esempio per chi li guarda.
Cari tifosi se in futuro vorrete un calcio più sano e pulito, imparate LA CULTURA DEL GIOCO E NON DEL RISULTATO.
In bocca al lupo a tutti per una visione di campionati di calcio avvincenti e spettacolari .

Gigi Cagni


Rai: Addio Moviola

27 luglio 2010

In attesa che il Mister torni fra noi, pubblichiamo una notizia di grande attualità in questi giorni che stà a dimostrare che forse qualcosa si stà muovendo.

(tratto da LaStampa) La Rai dice basta alla moviola nelle trasmissioni sul campionato di calcio. La consueta rubrica che analizzava i casi controversi di serie A e serie B sarà sostituita da approfondimenti tecnici, a scopo didattico, affidati non più ai noti ex arbitri.

La notizia è riportata da un quotidiano e confermata dal presidente della Rai, Paolo Galimberti, che ha già espresso la sua approvazione per la decisione presa dal direttore di Rai Sport Eugenio De Paoli.

Le immagini televisive serviranno solo a chiarire la norma applicata in quel determinato episodio, ma senza dare spazio al solito dibattito per «pensare ad un calcio meno urlato e più ragionato» spiega Galimberti. Il commento sarà affidato ad esperti dei regolamenti, che potrebbero anche essere suggeriti dall’Associazione italiana arbitri. Ogni domenica, verranno mostrate le immagini di tre-quattro casi e non di più.

Spiegare il calcio attraverso la tecnica e la tattica e non con polemiche buone solo a tirare fuori al tifoso il peggio di sè. È questa la filosofia che ha portato il direttore di Rai Sport, Eugenio De Paoli, a dire basta alla moviola come annunciato dal presidente della Rai, Paolo Garimberti. «Ma noi – spiega De Paoli – non ignoreremo i fatti: tanto che è in arrivo un accordo in esclusiva con l’associazione italiana arbitri per istituire la Cassazione, un organismo che analizzerà e spiegherà, regolamento alla mano, tre casi controversi per turno di campionato individuati da noi della Rai».

Il primo a mandare i complimenti al direttore della svolta, Eugenio De Paoli, è stato Pierluigi Collina. Una vita sotto la lente d’ingrandimento del ralenty, l’attuale commissario arbitrale Uefa ha mandato in mattinata un sms di complimenti a De Paoli, felicitandosi perchè per la gente questo può significare «il ritorno al piacere di sentire parlare di calcio». «È fondamentale che uno strumento come la tv contribuisca a fare cultura calcistica. Il concetto della “Cassazione” mista Aia-Rai, ovvero una chiarificazione sulle interpretazioni regolamentari, è importante per quello che può significare non solo in serie A ma anche tra i ragazzini», ha spiegato l’ex designatore arbitrale. «Lo scopo non deve essere – ha continuato – quello di evitare di parlare di arbitri, ma di evitare la ricerca spasmodica dell’episodio da rilevare per fare polemica. In ogni gara si cercano 4-5 episodi, questo non avviene in nessun altro paese oltre all’Italia. E da responsabile della commissione arbitrale dell’Uefa mi fa piacere che anche nel nostro Paese ci si sia resi conto della stortura di questo stato di cose».

Anche Marcello Nicchi ha apprezzato la svolta della Rai. Il presidente dell’Associazione italiana arbitri (Aia) «plaude alla iniziativa oggi comunicata dalla Rai. Lascerà spazio alla visione di gesti tecnici e atletici, abbandonando così le polemiche che scaturivano da commenti e dibattiti da Bar Sport attorno alla moviola, deleteri per la crescita dei nostri arbitri e dei giovani calciatori. L’Aia si rende disponibile a dare il proprio contributo alla rivoluzionaria iniziativa culturale».