Introduzione agli aspetti psicologici nel calcio


Il periodo di Coverciano è stato duro perché quando ho fatto il corso nel 90, nei miei primi due anni alla guida del Piacenza, era suddiviso in due sessioni in anni diversi e cioè iniziava a fine campionato e si concludeva prima dell’inizio del campionato successivo, quindi due anni senza nessuna pausa. Però ho un bellissimo ricordo ed è stato veramente utile per ampliare la conoscenza delle materie teoriche ma anche perché tutti  i giorni, c’era un confronto dialettico sia con i docenti che con gli altri corsisti, tutti ex giocatori. Se pensate che la materia che mi ha affascinato di più sia stata la tecnica calcistica o la preparazione fisica o altre che riguardavano la sfera esclusivamente del CAMPO, vi sbagliate perché mi ha letteralmente PRESO la PSICOLOGIA. Sono stato sempre attratto da questo mondo e da chi lo studia per poterne usare le conoscenze, sviluppandole e rendendone l’applicazione utile nella vita giornaliera in tutti i settori. Ho avuto la fortuna di avere un docente veramente di grande spessore sia scientifico che umano e cioè il Prof. Vianello docente all’università di Padova e autore di libri importanti. Con lui, dopo cena, facevo delle passeggiate attorno ai campi di Coverciano e, senza porgli domande specifiche, lo ascoltavo parlarmi a ruota libera di quanto fosse importante l’essere a conoscenza di questa materia per poter fare rendere al meglio le persone che devono sottostare al tuo comando. Sempre, anche da giocatore, ho cercato di conoscere prima me stesso e poi tutte le persone che facevano parte del mio ambito lavorativo attraverso i loro comportamenti a seconda delle situazioni che si creavano. Ho provato su di me atteggiamenti e comportamenti svariati per scoprire quale effetto avrebbero prodotto nella situazioni che si creavano. Ho sempre dato grande importanza a questo aspetto perché, essendo stato leader, ho compreso quanto fosse determinante la scelta giusta nelle varie situazioni, soprattutto quelle difficili, in cui si poteva determinare il raggiungimento o no di un obiettivo importante. Da uno dei libri del Professore ho provato, nei miei 2 primi ritiri precampionato, il SOCIOGRAMMA e cioè un sistema inventato da lui per capire il leader della squadra , i sotto leader e se c’era qualcuno escluso dal gruppo. Devo dire che ho usato questo metodo più per avvalorare quelle che erano le mie valutazioni fatte senza il metodo, perché è importante che l’allenatore abbia la qualità di saperlo fare d’istinto con le proprie qualità e esperienze. Oggi più di prima il fattore PSICOLOGICO, sopratutto in uno sport di gruppo, ma in un contesto così difficile come quello del nostro calcio, diventa preponderante per la migliore riuscita delle prestazioni e quindi dei risultati. E’chiaro che il contesto sociale è cambiato e i soggetti con cui ti devi confrontare sono diversi, certamente non puoi fare quello che ha fatto con me Mister Silvestri (detto Sandokan), nel 69 quando mi allenavo con la prima squadra, in campo mi diceva che ero un manovale del pallone e che dovevo andare a lavorare, poi andava in sede e diceva che ero uno dei migliori giovani difensori . Quando, anni dopo, l’ho rivisto e gli ho chiesto il motivo, lui mi ha risposto che se non fossi stato capace di reagire a quelle invettive come potevo farlo in uno stadio di 40000 spettatori. Come ho detto questi metodi non sono più utilizzabili ma la sostanza alla fine è la stessa, sono sempre più convinto che il sistema deve cambiare, i giocatori non vanno sempre difesi e protetti perché sono un capitale, bisogna avere la forza di responsabilizzarli specialmente nelle difficoltà, bisogna fare TORNARE e insegnare soprattutto, il significato di GRUPPO, dei valori e i principi che deve avere e che lo sostengono. L’individualismo non deve fare parte del calcio, avendo contratti lunghi devono sapere cosa vuol dire AZIENDALISMO,devono rispettare sia chi li paga sia chi spende per vederli sul campo con prestazioni sempre ad altissimo livello PSICO-FISICO e si accorgerebbero che non sarebbero criticati per errori tecnico tattici, il tifoso vuole vedere l’attaccamento alla maglia (non baciandola e basta). Queste cose fanno parte della mia strategia iniziale dell’approccio psicologico con il gruppo. Poi cerco di comprendere, il più velocemente possibile, la singola personalità per riuscire a farla convivere con le altre e riunirle per affrontare lo scopo comune. Oggi la difficoltà più grossa è che arrivano a fare i professionisti molto presto e hanno una grande preparazione fisica ma difficilmente trovi giovani pronti PSICOLOGICAMENTE alle situazioni di stress che il calcio moderno comporta. Vengono VIZIATI e non istruiti alle dure leggi della notorietà e molti si perdono alle prime asperità. Questa è stata una prima introduzione ad un argomento che ha mille risvolti e che potremo sviluppare meglio con le vostre curiosità specifiche.

Gigi Cagni

6 Responses to Introduzione agli aspetti psicologici nel calcio

  1. |Sole| ha detto:

    Caro Mister,
    bell’articolo davvero, ricco di spunti di riflessione. Dopo averlo letto una prima volta, me ne sovviene una – con annessa domanda.

    Concordo sul discorso “aziendalismo”, un approccio che personalmente penso andrebbe applicato sempre nell’ambito lavorativo: quando esistono le premesse comuni e la volontà di partecipare a un progetto, il dare tutto per una causa comune dovrebbe essere il punto di partenza, in ogni cosa.

    Però, e qui vengo alla mia domanda, non posso fare a meno di notare che non siamo nemmeno a metà campionato e la Serie A ha già perso la metà dei tecnici che avevano iniziato la stagione. Sono passati appena pochi mesi. Altri sono in discussione proprio in queste settimane si mormora di possibili cambi in panchina.

    Mi domando come possa un tecnico, che vive quotidianamente questa realtà ed è quindi consapevole che la sua partecipazione a un progetto potrebbe essere interrotta in qualsiasi momento e non sempre per motivi concreti (vedi i presidenti che “ho cambiato per dare una scossa all’ambiente”) sentirsi “aziendalista” quanto serve. Come si fa ad abbracciare un progetto sapendo di essere la prima pedina “spendibile” di fronte alle prime difficoltà tecniche?

    E come può il sostituto, l’allenatore che subentra, sentire “suo” il progetto e sposarlo in toto, quando non ne è stato coinvolto al momento di iniziare il lavoro?

    Grazie e scusa la solita lungaggine 🙂

    S.

    • gigi ha detto:

      Questi sono i motivi per cui la parola AZIENDALISMO nella maggior parte degli ambiti calcistici non ha senso di essere applicata.La conseguenza è che ogni elemento di una squadra di quel tipo non può certamente avere come concetto primario l’altruismo o lo spirito di coesione.Alla fine è molto probabile che l’obbiettivo prefissato non venga raggiunto.la speranza è che a forza di sbatterci il muso la capiranno?!….Ciao

  2. marco ha detto:

    Caro Mister io ho 35 anni con esperienze calcistiche di livello non professionistico Promozione e Seconda Categoria, ma io a 18 anni avevo rispetto dei giocatori con + esperienza ed eta’, e accetavo di essere ripreso + volte in allenamento..oggi invece non possono essere ripresi altrimenti si offendono o peggio ancora ti rispondono pure, pensano solo ad emulare le giocate e le scarpe dei campioni…!!!

    • gigi ha detto:

      Come ho detto nell’articolo il sistema è cambiato come è cambiata la socetà e quindi bisogna adeguarsi,dirà il tempo se era meglio prima o adesso.Noi abbiamo la fortuna di avere vissuto quei tempi che ci permettono oggi di reagire nel modo giusto nelle situazioni di difficoltà.

  3. GIOVANNI ha detto:

    Grande GIGI Cagni…sei forse l’ultimo degli allenatori seri e soprattutto “pensanti”, ti ricordo felicemente nella tua parentesi salernitana!! con affetto giovanni

    • gigi ha detto:

      Ti ringrazio per l’apprezzamento ma ce ne sono altri con la mia mentalità, solo che è il sistema attuale sbagliato.Comunque ho un ricordo splendido del periodo di Salerno.Buon Anno

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